Regia di Emir Kusturica vedi scheda film
Un film eccessivamente compiaciuto della bizzarria, della goffaggine e delle rozzezza dei suoi personaggi-macchiette, che si presentano come burattini messi al servizio di una dissacrazione un po’ naïf e decisamente sconclusionata. L’azione, secondo il consueto caos lussureggiante da soffitta in abbandono, infila, una dopo l’altra, una sequela di trovate non veramente comiche, ma solo leggermente buffe, che sembrano, per lo più, buttate lì a caso. Lo stile di Promettilo sembra la parodia citrulla del Kusturica che conosciamo, con lo stereotipo del tipo campagnolo rude e sempliciotto al posto dello spirito poeticamente ribelle del popolo gitano. L’effetto surreale, in questo film, è affidato ad una sorta di demenzialità estetizzante, che confeziona caricature in formato di figurine da fumetto per bambini. Davvero non si capisce perché l’autore di Underground voglia profanare il proprio lirismo – che, nelle sue opere più celebrate, si muove con fresca spregiudicatezza tra l’onirico e il selvaggio – ricorrendo a grossolani espedienti ed effetti speciali degni di Cartoonia. Un infantilismo agreste spacciato per filosofia di vita è la melodia di un canto privo di profilo armonico, che fischietta le sue suggestioni estemporanee con scarso senso musicale. La dissonanza, quando è protratta troppo a lungo, finisce per diventare un monotono ronzio: ed è questo indistinto rumore di fondo che accompagna lo spettatore per buona parte del film, fino allo stordimento per noia. Così la satira va a farsi benedire: il ritratto di un ambiente balcanico disorientato, confuso tra il vecchiume trasognato della cultura rurale ed una modernità cittadina e tamarra da affaristi da strapazzo, rimane soffocato da un carrozzone pseudo-western sovraccarico di simboli e citazioni, che fa bella mostra di sé fino a degenerare in una girandola impazzita. Nella baraonda, si rischia di perdere di vista anche il riferimento alla religiosità popolare, presentata come un elemento di anacronistico folclore, e troppo svuotata di significato per fare da collante in una società così eterogenea. In definitiva, in quest’opera il messaggio deve fare a pugni con lo stile; l’autore ha messo insieme tinte forti e feroci accenti, cercando poi di stemperarli nel siero di una fanciullesca ingenuità. Però la miscela è risultata troppo densa, e di un colore indefinito che annebbia la mente, e non dice propria nulla di sensato.
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