Regia di Julian Schnabel vedi scheda film
Il film parte male. Per me che non ho apprezzato troppo la scelta stilistica della soggettiva posta nel pensiero narrante del protagonista, i primi dieci-dodici minuti di inquadrature acquose e sfuocate sono state un piccolo patimento. Così come tutti i trentaquattro minuti prima che, del povero Jeando, il primo degli appiccicaticci flash-back ci rendesse l’immagine di lui prima dell’incidente. E prosegue ancora fastidiosamente la visione del film fin quando il protagonista non passa alla fase dell’accettazione di sé, laddove il film comincia finalmente a spurgarsi dei luoghi comuni , peraltro inevitabili, tipici delle vicende come queste (su tutti: la reazione stizzita della logopedista al sentirlo parlare di desiderio di morire). A quel punto, la buona regia di Schnabel comincia a dare qualche soddisfazione, il ritmo si fa più decoroso, e il film scorre tutto sommato bene (per quanto “bene” possa scorrere un film così pesante). Bisogna dire che, nell’affrontare la tematica, il film di Schnabel rimane piuttosto basso, soprattutto se si ha in testa lo splendido amenabariano “Mare Dentro”. Tra le cause, probabilmente, i dialoghi non sempre (anzi quasi mai) riusciti e convincenti, mentre la galleria dei personaggi che popolano la vicenda non offre, di per se, grandi spunti, e quei pochi che offre sono anch’essi tenuti insieme da una colla poco resistente. La diatriba sul “se questa è vita” resta aperta: Jeando, come già Ramon Sampedro, e il cinema in generale per quel che può, continuano a offrire spunti in attesa che la cosiddetta società civile sappia darsi delle regole. Certo è che il pistolotto del neurologo-capo, collocato nei primi, peggiori trentaquattro minuti di film, ci lascia poco sperare che la società, da cosiddetta, riesca a diventare davvero civile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta