Regia di Julian Schnabel vedi scheda film
Sentirsi imprigionati nel proprio corpo.oppure per dirla in termini medici la Locked in Syndrome.Ma il risultato è lo stesso:una mente fertile e vivace racchiusa irrimediabilmente in un corpo totalmente inerte se non fosse per quella palpebra ancora viva e mobile che permette comunque di comunicare ,di non sentirsi un corpo estraneo in un mondo dal quale si è stati strappati a forza,a tradimento.Il film finisce dove incomincia o incomincia dove finisce la vita normale di un redattore di una rivista molto alla moda.L'ictus arriva subdolo mentre si sta guidando la spider con il figlio a fianco,un parziale deficit di linguaggio,poi tutto si accartoccia,tutto ti crolla addosso minaccioso e tu stai là senza muoverti,agghiacciato e agghiacciante in quell'ultimo sguardo prima del buio,occhio iniettato di disperazione.Poi la riabilitazione,la consapevolezza che viene in un secondo terribile momento,tu parli,rispondi alle loro domande ma loro non si accorgono di quello che dici,non ti sentono.Non è colpa loro,è il tuo corpo che rifiuta di relazionarsi mediante un linguaggio convenzionale.A un certo punto del film Jean-Do dice che gli sono rimaste sole due cose funzionanti:la memoria e l'immaginazione.L'immaginazione che lo fa sentire sempre più una crisalide prigioniera dentro una zavorra troppo pesante per risalire alla luce.La memoria che gli permette di ricostruire e di scrvere,o meglio di dettare un romanzo purtroppo per lui postumo.Impossibile che la mente non vada ad altri film che trattano questo tema:quello di sentirsi prigionieri del proprio corpo,quello di essere prigionieri del proprio corpo:il primo che mi è venuto in mente è il bellissimo E Johnny prese il fucile,unica regia di Dalton Trumbo,in cui il Johnny del titolo non aveva neanche la palpebra per comunicare ma poi studiava un modo alternativo per collegarsi di nuovo al mondo che lo circondava.Come non ricordare il soffertissimo Il mio piede sinistro di Jim Sheridan in cui il favoloso e ancora sconosciuto Daniel Day Lewis riusciva a trasporre su pellicola la sofferenza dell'impossibilità alla comunicazione o come non pensare al poetico Mare dentro di Amenabar che condivide con questo la capacità di sognare del protagonista.Tutti film per me importanti così come è importante questo permeato di una disperazione che è difficlie da rimuovere anche dopo che è terminata la visione.Schanbel registicamente parlando sceglie la strada impervia della soggettiva facendo quasi immedesimare lo spettatore nello sforzo del protagonista.E sceglie la voce fuori campo dello stesso protagonista,mai così necessaria per spiegare quello che succede,un contrappunto beffardamente sarcastico alla disperaazione che cresce.Il film inizia praticamente col momento del risveglio di Jean Do dal coma e lo spettatore è unico testimone della sua disperazione perchè sente le parole del protagonista mentre gli altri non le sentono,perchè lui non può pronunciarle.Un vero e proprio ceffone come a dire benvenuti all'inferno:la riabilitazione,la ritrovata possibilità di comunicare con quella benedetta palpebra,l'anelito a rimettere qualcosa in ordine della sua vita e a dare uno scopo alla sua prigionia.Altra carta vincente del film è la stupenda fotografia:le luci del virtuoso Kaminski sono cangianti e accrescono se possibile il valore del film che riesce miracolosamente a stare in equilibrio tra il dovere di cronaca e la retorica aiutato in questo da una prova maiuscola di Mathieu Amalric che a me ha ricordato nei tratti somatici il Polanski giovane....
non male
si conferma ottima attrice la signora Polanski
prova maiuscola
cameo da grande istrione....
regia coraggiosa in soggettiva per la maggior parte del tempo
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