Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Grazie agli amici di Filmtv OD per aver reso possibile la visione di questo magnifico film con il loro streaming. È il primo film che vedo del controverso regista messicano, le cui opere precedenti hanno avuto un'accoglienza molto contrastante. Qui ci racconta la storia di un uomo, appartenente alla comunità dei Mennoniti del Messico, che si ritrova combattuto fra i suoi doveri familiari- ha una moglie a cui è legato dall'affetto e ben sei figli- e l'innamoramento per un'altra donna, che lo allontana dalla famiglia. Gli eventi prenderanno una piega tragica inaspettata, ma nel finale la fede riuscirà a produrre un miracolo... Reygadas continua a proporre i suoi interrogativi esistenziali e religiosi, ma senza ricorrere a scene scioccanti o estreme come in "Battaglia nel cielo" -qui c'è una scena sessuale fra l'uomo e l'amante che non ha nulla di gratuito e morboso- e mira in alto, tanto che nel finale ci propone un miracolo preso pari pari da "Ordet" di Carl Dreyer. Il confronto con il maestro danese è certamente impegnativo, ma io non parlerei assolutamente di plagio come ha fatto qualche critico, piuttosto stoltamente: il miracolo vuole dimostrare la forza della fede in Dio e nella bontà del creato, elemento che agisce da cardine su cui si basa tutta l'esistenza di questi personaggi. Ricco di bellezze puramente cinematografiche come le scene iniziali e finali che riprendono un'alba e un tramonto con un travelling in avanti e, nella scena finale, all'indietro, in maniera speculare all'inizio, è un film dal ritmo lento e assorto, ma mai noioso. Reygadas sa caricare di mistero le sue immagini e fa un uso fenomenale del piano sequenza; gli attori sono dei non-professionisti come in un film di Bresson, recitano in maniera sobria, senza caricare troppo e risultando credibili. Tra le scene più belle anche il bagno dei bambini in un laghetto della zona, il sofferto colloquio col padre e la veglia funebre prima del miracolo. In "Luce silenziosa" non c'è lo sfrontato esibizionismo che viene rimproverato al regista dai suoi detrattori e lo stile, pur debitore rispetto a Dreyer e Tarkovskij, riesce a trovare una propria cifra personale, si muove in maniera autonoma, omaggia i maestri senza esserne succube. Degna di elogio la fotografia di Alexis Zabe. Spero di riuscire a vedere altri film del regista, che sul nostro sito ha numerosi ammiratori già da tempo.
Voto 9/10
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