Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Film con grande equilibrio tra forma e contenuti. Una pellicola a mio parere imperdibile per chi ama il grande cinema. Semplicemente stupendo.
Si potrebbe liquidare quest’opera con un solo termine: capolavoro. Si potrebbe sostenere che, da sole, alcune sequenze valgono l’intera pellicola; la cristallina purezza del bagno nel fiume, l’essenziale ma profondo dialogo-confessione tra padre e figlio, la rimembranza ad una pseudo michelangiolesca e marmorea “Pietà” ai bordi dell’autostrada, la luce che domina su tutto e nella quale si può cogliere una rappresentazione della potenza e bellezza del sovrannaturale, luce abilmente sfruttata per rendere impeccabile la fotografia di questo sconosciuto Zabè. Colonna sonora assente ma solo rumori in presa diretta di grande efficacia. Si potrebbe chiudere qui il mio commento ma tenterò indegnamente qualche altra riflessione su quello che è, senza ombra di dubbio, il più bel film che io abbia visto nell’anno corrente.
Questo Reygadas è un grande al quale mi sento di affiancare, fino ad oggi, solo altri due nomi: Lav Diaz e Bela Tarr. Questo è cinema con la C maiuscola, questa è settima arte. Questo film è l’inno all’imperfezione umana, il canto della condanna del vivere implicita per molti sottoposti all’imprevedibilità di un fato che pone di fronte a tormenti esistenziali lancinanti nella scelta improrogabile di cosa sia giusto, se responsabilità e raziocinio debbano infine prevalere su passionalità e/o amore. In questi anni dominati dall’instabilità affettiva di tanti il film espone con lucida drammaturgia e con inconsueta maestria il dolore di molta umanità coinvolta spesso in dilemmi che andranno inesorabilmente a generare altrui sofferenze. Su tutto scorre la luce silenziosa della natura (ingrata in quanto fonte del nostro concepimento, degli istinti e delle conseguenti debolezze e innegabile manifestazione di un’entità sovrannaturale), le albe e i tramonti che paiono assistere indifferenti a tanti umani travagli. All’imperfezione umana si contrappone la perfezione (a mio parere subdola e ammiccante) della natura in tutte le sue manifestazioni. Forma e sostanza convivono in questo film in uno stupendo equilibrio d’immagini ed emozioni e più di due ore scorrono lievi nonostante il film non sia un esempio di rapidità espositiva. Piani sequenza immobili sulle consuetudini famigliari e inquadrature strettissime in primo piano rivelano l’immensa bravura di tutti gli attori con una menzione speciale ai più piccoli. La telecamera indaga da una finestra perfettamente centrata nell’inquadratura il trasporto della salma mentre nel vetro si riflette il sole e il rigoglioso paesaggio circostante: vita e morte si contrappongono, forse si fondono lasciando irrisolti gli interrogativi terreni. La ricerca del particolare è maniacale, ma mai fine a se stessa a differenza di molta cinematografia decisamente spostata verso la sola forma; particolari come la farfalla che vola via dalla stanza allestita a camera ardente forse a significare la definitiva dipartita dell’antagonista. Il finale può lasciare interdetti, stupiti o forse delusi essendo la manifestazione meno terrena di tutto il film, ma il carico di simbologie che evoca farà parte della sfera interpretativa di ogni spettatore. Chiudo con il mio giudizio fortemente positivo su questo grande cinema, che resterà sconosciuto ai più per colpa di tornaconti di distribuzione sicuramente in passivo. Potrei aggiungere ancora molto, ma mi limito solo a consigliare agli amanti di un certo modo di fare cinema di scovare con ogni mezzo questa pellicola al fine di visionarla.
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