Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Le immagini, silenziosamente, mentono: il loro è il miracolo crudele che il cinema produce sin dalla sua nascita: la rappresentazione della realtà si scontra con la documentazione dell'immaginazione e da questo collasso cosmico nasce una pastorale laica. Reygadas, come ogni volta, con insensata arroganza porta avanti la sua missione: sorprenderci.
LA (RI)SCOPERTA DELL'ALBA.
...tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic/
Atei Praticanti, o : di tutti questi Miracoli Crudeli { "crudeli" perché falsi[fica(n)ti] : nostos, resurrezioni, campane, levitazioni, silenz'infranti : l'inganno supremo e superno del Cinema, della Narrazione }.
BATTAGLIA SULLA TERRA ( coltivare, e mietere ).
La religione intesa come collante della frammentazione umana ( in seguito all'aver parimenti contribuito a scorporarla, scinderla, smembrarla ), ovvero : tutta la differenza che passa tra il ''non desiderare la donna d'altri'' e il ''non desiderare altre donne''.
In un'enclave mennonita gemmatasi dall'emigrazione tedesca/germanica ( sassonia, prussia, renania, vestfalia ) nel mondo, e più in particolare conseguentemente alla diaspora - tra le tante - dei seguaci di Menno Simons dalla Russia ( tra zar, impero, rivoluzione, bolscevismo, repubblica e soviet…), prima, e da quell'Impero Romano moderno ch'è il Nord America e che sotto molti aspetti rimane molto meno moderno di quello vero, poi, e nel caso specifico incistatasi nel vasto territorio che ha dato i natali a Pancho Villa ed Emiliano Zapata e che oggi ne accoglie 3.000 sui 500.000 sparsi per la Terra, spunta ( da che mondo è mondo ) una questione di corna.
Poi, si sa, gli uomini sono un pochino più uguali delle donne, e la consunzion d'amore tocca alla sposa, e all'altra, l'amante, il ''sacrificio'.
Sembra quasi che dopo il parziale tramonto dell'umanesimo ( verranno giorni migliori ), che collassa di fronte a domande progressivamente più immense ( le stesse, inevase, da sempre ) e risposte sempre più specifiche e compartimentate ( venga il tuo regno, ma anche una teoria del tutto, grazie ), si ritorni - nell'ambito del cinema di Carlos Reygadas, e fuori d'esso, per tautologica sinonimia - all'alba della cristianità ( cattolica e protestante a fagocitare il dissenso dopo la riforma : anabattisti, valdesi, mennoniti, etc...), e via via a ritroso si prosegua ( grazie a dio, ovvero a chi per esso ) verso ben altra origine, quella del mito : riti funebri e sepolcrali, in odor di palingenesi, tra il paleolitico e il neolitico, quando l'Homo neanderthalensis muoveva i primi passi stornando lo sguardo dal vertiginoso cielo stellato, inaccessibile nero abissale, e indicando una fossa scavata per terra pronta per essere riempita a tumulo, una pira innalzata s'un cumulo pronta per essere accesa, la sponda di un fiume pronta ad accoglier le spoglie e portarle via.
E più modernamente, verso l'eterno contemporaneo che ritorna, qui si parla di donne che amano e ri-creano ( e in seconda istanza di uomini che desiderano ), di bambini che accolgono e si adattano ( e di vecchi che considerano ), e di confessioni scismatiche ( ovvero : io credo più e meglio di te - o t'ammazzo o te ne vai - se mi ammazzi me ne vado ) che regrediscono alla realizzazione dell'arcaico sogno primevo, e ultimo : continuare a vivere, ancora (per) un po', sconfiggendo in battaglia un aspetto del male, la morte.
Ed ecco che Stellet Licht / Luz Silenciosa si protende verso ''Post Tenebras Lux'' : “il nemico è implacabile”, dice il padre al figlio vedovo. “Non è né il diavolo né nessun altro, sono io”, gli risponde lui.
POST TENEBRAS SONOR ( increspature nell'aria ).
Di tutte queste albe e tramonti, ovvero : e fu sera, e fu mattino ( ha da passa' 'a nuttata, un giorno dopo l'altro, un giorno come un altro ).
Potrei citare il Libro ( ebraico ) e il Mito ( greco, latino e mitopoiesi rupestre ), così, giusto per farmi bello di cotanta speme di senso riposta nel simbolo ( e perché no, il ''malickiano'' Kierkegaard, toh ), ma perché farlo...quando c'è GeoGuessr ?
Ché'bbene, di fatto, assistere al cinema di Carlos Reygadas è un po' come giocare a una mano random del browser-game succitato, un GeoGuessr della Moralità, insomma, in cui l'autore, ad ogni nuova opera/manche, ti prende e ti scaraventa in un dato punto x-y-z del territorio messicano di cui tu, turista da (home) theatre e da sala (cinematografica), devi trovare la ''tua'' di posizione rispetto ad esso triangolando i dati disponibili, percepibili, assimilabili : il paesaggio, le facce, le parole, i gesti, le azioni : come quasi non mai altrove, in Reygadas, la diuturna consuetudine esplode, sopravanza la messa in scena, s'ingenera in essa, e al regista basta sottrarre il superfluo della fiction per rendere il reale ( codici, regole, convenzioni, leggi, comandamenti, usi e costumi, dogmi, rapporti di causa-effetto ) come documento dell'incredibilità ( travestita da palese impossibilità. Leggi : speranza ) quotidiana.
Moralità, non la fede e l'ateismo, la laicità e l'agnosticismo, che di per loro attrezzano il contesto, ma è la moralità ( qui intesa come sinonimo di ''morale'' e null'avente a che fare con il concetto di ''moralismo'' ) ad esplodere sprigionando senso ulteriore, profondo, performante, oltre ogni miracolo impossibile ( che contiene una rassicurazione : non solo i capelli e le unghie crescono dopo morti, ma pure le lacrime continuano a scorrere : negli occhi degli altri, p(i)oggiate sulle nostre gote ).
Discorrendo di pura, sola, mera tecnica : l'unico stacco di montaggio nella scena della ''trasfusione'' ( dal piano medio laterale al primo piano frontale con messa in abisso dall'alto ) è minimale, improvviso, classico, e commovente.
La fetta bugnata e corrusca di orbe terracqueo da parentesi a parentesi dell'orizzonte convesso presa in esame è ciò nondimeno circoscritta rispetto alla totalità delle terre emerse planetarie ( in fondo è una superficie che si estende per poco meno di 2.000.000 di Km² ), ma è l'esteso e quasi infinito landscape della moralità ( la 5a dimensione che si aggiunge alle tre spaziali e a quella temporale lungo le quali procede la vita dell'essere umano che contempla sé stesso : tutto quello che sta in mezzo tra il giusto e lo sbagliato, e oltre, e attraverso, e di conseguenza, e in principio ) il paesaggio presentatoci dall'autore in cui ci si deve raccapezzare, muovere, ambientare.
EYES WIDE OPEN ( look, and shut up : bozzetto famigliare ).
...parce que les fleurs c'est périssable…
Johan, il marito di Esther : Cornelio Wall
Esther, la moglie di Johan : Miriam Toews
Marianne, l'amante di Johan : Maria Pankratz
Padre di Johan : Peter Wall
I gesti ''pasoliniani'' degli attori / ''non''-attori sono totalmente empatici ed assimilabili e rimandano ad un ricordo ''preciso'' nella memoria di ognuno : è un modo come un altro ( non certo il solo, non certo il migliore ) d'intendere il ruolo degli interpreti.
PS : non ho ''indagato'' riguardo al fatto che C. e P. Wall possano essere nella realtà figlio e padre, ma oltre all'onomastica anche la fisiognomica fa protendere verso questa ipotesi.
Fotografia - Alexis Zabé ( qui due esempi del suo lavoro : "Aningaaq" per Jonas Cuarón e "Baby's on Fire" per Die AntWoord ).
Montaggio - Natalia Lopez
Suono in presa diretta - Raúl Locatelli
les BonBons - Jacques Brel - 1964
Al primo frusciante respiro di vita.
Usciti in strada, sotto a un cielo stellato, dal cinema, o sotto alla stessa illune volta ricamata di soli lontani, in giardino, in terrazza, in balcone, sui tetti a ululare dalle grondaie, o affacciati alla finestra, da casa, ecco che ci coglie, impreparati, un alito di vento, un refolo leggero. Potrebb'esser la sera che solo si spegne accendendo le tenebre che in grembo portano le fiere del sogno, pur tuttavia…
[ La lesiniforme spirale di foglioline di cedro rosso precipitanti fluttuando dall'alto dopo l'eros (amore) era ben percepibile, qui invece l'ànemos lepidotteresco ( lo scarto, il residuo, la rigaglia della resurrezione : thánatos inverso e ''sconfitto'' ) non si vede bene : cliccare sull'immagine per vedere meglio ]
La ''poetica'' ( esulando nello specifico dal cosa, dalla sostanza, dalla...politica ), lo ''stile'', la ''forma'', il ''come'' di Reygadas sono innegabili ed immediatamente riconoscibili ma mai sovrastanti e sempre subordinati ( pur essendo a loro modo invasivi ) al racconto : egli compie un passo in avanti ed uno all'indietro ( carrello che avanza nel quadro fisso, mai uno zoom ( anche carrellate laterali e in avanti, ovvero in diagonale ), per poi procedere con movimenti circolari della MdP sul proprio asse ad espellere il fuori campo assumendo come PdV quello dell'attore in scena non più / non ancora inq.to ( la sequenza del pic-up che gira in cerchio ) per poi rivelarne la presenza ''herzoghianamente'' ( Klaus Kinski che entra di spalle nell'inquadratura dalle ''quinte'' del set, per dire ). Senza essere sacrileghi : egli danza.
Reygadas inscatola ( dialogo a due, campo-controcampo ) in un abitacolo ( anche se le azioni che portano vanti la trama si protraggono e si perpetrano al di fuori d'esso ) - e in uno specchietto retrovisore lato passeggero : dopo il sorpasso effettuato ( il più lento e lungo mai visto ), in mezzo al nulla, e la presunta/desunta pericolosità, il tutto visto dal PdV della moglie tradita dall'uomo cui non bastava stare in scia, il sorpasso subìto - il fulcro del film.
E ancora : non cambia il punto di messa a fuoco operando sul corpo di lenti del proprio spazio interno (obbiettivo) ma muove la MdP stessa avvicinandola, nello spazio fisico ad essa esterno, all'oggetto da rendere netto e limpido finché tale esso diventa.
Nel cervello dello spettatore critico e cinefilo s'ingenera una profusione di rivelate analogie inattinenti, sin troppo facili da rilevare quanto pericol-ose/-anti, s'accampano similitudini che rientrano a pieno titolo nella sfera del gioco, del caso e della coazione a ripetere forzata, s'individuano corrispondenze e parallelismi frutto della coincidenza tematica e non di una volontà dialogante tra i temi e le opere
{ Johan seduto a tavola, da solo ( antecedenti : ''Jeanne Dielman'' di Chantal Akerman, e successivi : ''il Cavallo di Torino'' di Béla Tarr ], l'ambientazione e il contesto geografico, storico, sociale, politico, religioso, paesaggistico, naturale ( ante : ''Salita al Cielo'' / ''la Via Lattea'' di Luis Bunuel, ''WitNess'' di Peter Weir e ''the Village'' di M. Night Shyamalan, e post : ''Stop the Pounding Heart'' di Roberto Minervini ), prettamente simbolici [ ante : ''SunRise'' di F.W.Murnau (sfere celesti), ''la Trilogia del Silenzio di Dio'' di Ingmar Bergman, ''Solaris'' e molto altro Tarkovsky ( da “Andrej Rublëv” a “Sacrificio” ), “Rintocchi dal Profondo” di Werner Herzog, “Breaking the Waves” di Lars von Trier, “l'Humanité” di Bruno Dumont e “A.I.” di S.Spielberg, e post : ''les Revenants'' di F.Gobert (farfalle/falene) e ''lo Strano Caso di Angelica'' di Manoel de Oliveira ], fino a giungere, e perché no, ai soppiantat(t)ori di Lanthimos, gli ''Alpeis'' },
mentre gli unici riferimenti concreti ( non puramente visuali o pittorici, di composizione del quadro
e gestione del movimento nello spazio, ma percolanti senso ) sono quelli
-[ espliciti, sfacciati, rimarcati e sfrontati : le resurrezioni e gli atti materiali del fermare non tanto il tempo quanto l'uso che per convenienza e consuetudine se ne fa : manualmente si bloccano le lancette, gl'ingranaggi, i metronomi : il tempo continua a scorrere, ovviamente, ma chi si libera del controllo che l'orologio esercita sulla vita umana ( orologi provenienti ''direttamente'' da una delle scene iniziali di “Batalla en el Cielo” : ma di questo passo si arriverebbe a citare anche “High Noon” di Fred Zinnemann ) si estranea dallo stesso contesto/consesso umano : bloccato il pendolo all'inizio, dal figlio-padre, e fatto ripartire, alla fine ( in un momento, a suo modo, compassatamente struggente ) dal padre-nonno ]-
che riconducono direttamente, palesemente e pleonasticamente a “Ordet”.
ORDET ( espira, inspira ).
È Rùakh, l'aria mossa tra le fronde chiome, il vento che si placa al tramonto e porta con sé l'eco della parola ( come la bambina - la vera figlia del regista - nel prologo di "Post Tenebras Lux", impegnata a trotterellare verso l'imbrunire ridando i nomi alle cose, in modo da far loro passare la notte, che un nome ci vuole, per chiamarsi a raccolta e sconfigger le fiere ), un sussurro ripescato dall'oblio riarso da tutta quella sfrontata, chiassosa luce pervasiva.
È Pneuma, che gonfia e sgonfia e rigonfia il torace sussultante a ritmo col cuore del mondo, e pressurizza e realizza con la propria esistenza la pellicola di atmosfera che ci fa respirare, parlare e ascoltare, e vivere albeggiando questa pugna d'amore in Terra ( amor platonico, amor carnale, amor di convenienza, amor formale ).
È Hèvel, che ci ricorda di come tutti gli esseri umani messi assieme sul piatto della bilancia nel baricentro della massa planetaria, dall'origine protrattasi e pulviscolare della specie umana autocosciente al collasso gravitazionale post singolarità e trascendenza della civiltà, sono più leggeri di un soffio.
Sono Ànemos e Anima, sono Neshamàh e Nèfesh : i sinonimi e i sensi si moltiplicano esponenzialmente, la motrice significante e i vagoni di significati attraversano le pascolose alte pianure sterminate e scavallano le catene montuose cingent'i confini dello sguardo oltre la parentesi del globo terrestre che s'innalz'al cielo, e la vita si espande.
O è solo un miracolo, che possiamo percepire attraverso l'intangibile dato di fatto del corpo ( basar : la carne è debole come uno sbuffo di vento che sorge, passa, sfiora e si spegne ) risvegliatosi o per mezzo dell'immagine riflessa negli occhi fanciulli assistenti alla scena ma non nel controcampo adulto dell'unica reazione ''oggettiva'' possibile, quello del marito, ch'è il solo a poterlo inverare e testimoniare, oltrepassando l'inganno dell'autore ( mentre l'amante è troppo sconvolta e immersa nel senso di colpa e redenzione, mentre i bambini vedono quello che ''vogliono'' vedere ). Ma in fondo il discorso del regista è un altro : ce lo dice chiaro e tondo, innescando nell'illuminismo il paradosso del miracolo : le immagini, silenziosamente, mentono...
SABATO, DOMENICA E SEGUNDA FEIRA ( meriggiare vivido e assorto ).
Japon ***½ - Batalla en el Cielo ***¾
Stellet Licht **** - Post Tenebras Lux ****¼
Reygadas apre e chiude s'un ossimorico time laps in diretta ( un prologo e un epilogo a incornciare il quadro in movimento (film) sono ancestrali e mitopoietici : nel senso scientifico dei termini ) : la MdP giroscopicamente ( si pensi alla scena michelangiolesca - nel senso di Antonioni, nell'accezione di “Professione : Reporter” - presente in “Batalla en el Cielo” ) insegue le Via Lattea ( e mentre la cinepresa ruota sul proprio asse la Terra compie lo stesso movimento : una rotazione completa al giorno, un 365esimo di rivoluzione attorno al proprio astro ) giusto il tempo di un giro di giostra per poi adagiarsi sul piano dell'orizzonte in asse col baricentro terrestre e rimanere fissa attendendo che il tempo passi, e nel farlo lo riprende passare. Trascorso il quale un carrello prende ad avanzare con minima urgenza ma con altrettanta costanza nella rada ma lussureggiante vegetazione arbustiva spontanea e selvatica che trapunta i pascoli e le mono-coltivazioni estensive dell'Altopiano Messicano, nello stato del Chihuahua.
Era mattina. Viene la sera. Il giorno passa, sarà notte piena.
Di nuovo, si riaccendono le stelle, e la bambina di “Post Tenebras Lux” ( la ''stessa'' che in Stellet Licht / Luz Silenciosa insiste a chiamare : “Papà! Papà! Papà!”, traslando un nome in un bisogno, un desiderio in un'azione ) è nuovamente pronta a ridare i nomi alle cose -( non s'era già detto ? Non s'era già fatto ? E ancora lo ripeteremo, e ancora lo rifaremo, ch'è la vita, e cos'altro ? Un palindromo in levare e in calare, che reitera se stesso, un palinsesto di traiettorie, galassie come sabbia tra le dita, doppie eliche, rotazioni e rivoluzioni, battiti di palpebre, di ciglia, reazioni pupillari, adattarsi al cambiamento )- e a mettere in abisso la notte incipiente, sopravvivendole, fino allo spengersi dell'ultima fioca stella, al levar del Sole.
Di speranze non ne avevo più, però c'era ancora l'attesa, l'unica cosa di lei che mi fosse rimasta. Quali compimenti, quali beffe, quali tormenti stavo ancora aspettando ? Non ne avevo la minima idea, e tuttavia continuavo a credere fermamente che il tempo dei miracoli crudeli non fosse finito.
Stanislaw Lem – Solaris – 1959-'60 ( traduzione italiana integrale dal polacco di Vera Verdiani – Sellerio Editore – Palermo – 2015 )
/tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac…
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Il film è noleggiabile da qui :
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