Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Gus Van Sant prosegue il suo viaggio fra i banchi di scuola dell'America contemporanea iniziato con "Elephant" e ci racconta un'altra storia di giovani alle prese con un episodio di violenza che esplode improvvisa e inaspettata, questa volta però si sofferma nel descrivere più approfonditamente l'indole del protagonista della storia e attraverso i suoi occhi arriva a tracciare un'immagine degli emarginati che oscillano sugli skateboard a "Paranoid Park" e non hanno nessuna intenzione di abbandonare quella situazione altalenante che riempie le loro giornate, ci viene anche mostrata la sua ottica nei confronti dell'universo femminile apparentemente più convinto del proprio ruolo di quello maschile e sfiora anche l'argomento crisi famigliare senza però come di consueto schierarsi o sviolinare. L'acclamato regista di "Belli e Dannati" sembra voler tornare proprio agli ambienti freddi e cementati descritti in quel film, dove Reeves e Phoenix vagabondavano alla ricerca di una marchetta o di un trastullo nello stabile occupato dai giovani dropout, qui siamo a Portland nel gelido Oregon, città natale di Van Sant, dove Alex interpretato dal giovane Gabe Nevins si aggira fra spiagge solitarie e quartieri popolari graffiati dai bordi delle tavole, l'aver montato immagini in super 8 raccolte direttamente dalla strada sottolinea un significativo ammiccamento al cinema di Pasolini così attratto dalle borgate a dalle classi meno abbienti, qui il centro nevralgico è Paranoid Park: un complesso di condotti idrici, cunette e dossi artificiali posto sotto un viadotto, dove ogni giorno si ritrovano drogati, fricchettoni e soprattutto fanatici dello skate, Alex è attratto da questo limbo sospeso nel nulla dove per un attimo infinitesimale puoi anche tu stare sospeso per aria e non pensare alle pulsioni sessuali esercitate dalla tua giovane fidanzata, al teorema di Archimede, o all’imminente divorzio dei tuoi genitori, c’è di peggio dice lui, c’è la fame nel mondo e quel peggio ipotetico o ideologico che dir si voglia si affossa al Paranoid Park, senza neanche dover cavalcare la tavola, l’importante è esserci.
La struttura non lineare della pellicola fa emergere poco alla volta la sua storia, in cui l’episodio culminante è un omicidio, involontario sia ben chiaro ma pur sempre un fatto scioccante che nella mente di un adolescente provoca degli squilibri e la perdita improvvisa dell’innocenza.
La storia di questo film sta proprio qui: il meccanismo investigativo che si attiva dopo pochi minuti va via via svanendo a discapito della descrizione dello stato d’animo di Alex, Van Sant sembra avere un debole per il cinema d’autore made in Italy dato che il canovaccio di questo suo film sembra essere preso dal miglior Antonioni che nei suoi capolavori tesseva le trame di un mistero per poi raccontare l’esistenzialismo dei suoi personaggi; oltre a questo inserisce nella colonna sonora brani di Nino Rota tratti da “Giulietta degli spiriti” e soprattutto “La Gradisca e il Principe” da “Amarcord” per commentare la sequenza in cui Alex decide di rompere la sua liaison, per cui anche Fellini viene omaggiato in maniera molto più esplicita degli altri due maestri nostrani da me citati.
Il destino di Alex non è ben definito alla fine del film, si ha come l’impressione che i suoi lunghi capelli e l’acquisita dimestichezza con le cunette di Paranoid Park delineino un cospicuo scorrere del tempo dall’episodio centrale della sua adolescenza, che è nascosto fra i meandri della sua esistenza tanto e come lui è un elemento nascosto sotto il viadotto, fra gli altri sbandati che popolano il Paranoid Park.
Interessante l'utilizzo di generi diversissimi com la classica e il rap in uno stesso film.
Vivace e fantasiosa come sempre ma anche cruda e cinica quando necessario.
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