Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Alex (Nevins), un diciottenne di Portland, consuma la sua esistenza tra scuola, amici e skateboard. Un giorno decide di andare a skateare al Paranoid Park, noto per essere frequentato da dropout, tossici e disperati. Conosce un ragazzo più grande col quale, per fare una bravata, sale furtivamente su un treno merci in corsa. L'addetto alla vigilanza ferroviaria li vede, tenta di manganellarli ma riceve un colpo con lo skateboard, perde l'equilibrio e finisce sotto un treno, tagliato in due. Alex fugge. Un poliziotto (Liu) indaga tra gli skaters della scuola locale.
Gus Van Sant continua a gettare il suo occhio glaciale sulla condizione di una gioventù bruciata dall'accidia ("me ne frego dell'Iraq", risponde Alex a un'amica che lo incalza nel tentativo di smuoverlo dalla sua apatia esistenziale) e a raccontare storie di belli e dannati. Come in Elephant, anche qui la scelta stilistica, di alto profilo autoriale, è radicale: i genitori sono ectoplasmi costantemente fuori fuoco o visibili solo di spalle (con l'eccezione dell'ultima inquadratura), i ricorrenti pianosequenza sui corridoi stanno lì a sottolineare il caracollare senza meta per le strade di un'esistenza priva di significato, la struttura narrativa ricorsiva crea nel racconto continue geometrie frattali, la recitazione è straniata e la musica contrappunta (Nino Rota, ma anche l'heavy metal e Elliott Smith) le immagini per contrasto. Come a dire che l'universo giovanile, paralizzato nella sua estraneità alle cose del mondo e impermeabile a qualsiasi responsabilità, non può essere raccontato che con lo stile algido e distaccato dell'entomologo, in uno script che rasenta il documentarismo e che lascia freddi persino nella scena più cruda, condita con abbondante humour nero.
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