Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Gus Van Sant, ritornato ormai da un po’ al cinema che più ama, ci regala nuovamente un’unica vera continua e immortale emozione. La frammentarietà e la discontinuità narrativa optate dal regista per il flusso riflessivo del protagonista sono le forme privilegiate dell’antinarrazione. Essere anti-narrativi, soprattutto ad Hollywood, vuol dire essere ben schierati socialmente. Vuol dire additare i borghesismi della narrazione e tutte le edulcorate forme di opache scritture e testualità. Geni, queste ultime, di molte menzogne sociali. Come dice bene Bocchi, l’espiazione del giovane Alex, che non avviene attraverso la “legge” perchè è una ri-conoscenza o nuova conoscenza del sé, “per i benpensanti, per i moralisti e per gli oltranzisti della gogna, è duro da mandar giù”. Van Sant, dall’alto della sua indipendenza, ci racconta, senza imporcelo, come un ragazzo riesca a far tesoro del male prodotto dalla circostanza, o anche cercato inconsapevolmente, riproponendone gli effetti come qualcosa di antropologicamente sano, vivo, genuino, redento. Senza passare per le pratiche poliziesche, religiose, confessionali e moraliste, il giovane Alex acquista coscienza di sè e del suo gesto. Indipendenza dall’autorità, nostra emancipazione, qui raccontata con segno opposto rispetto l’altro capolavoro “Elephant”. E se chiude lì la faccenda, politicamente in modo scorretto per gli oltranzisti della gogna, non è per vuoto generazionale, bensì perchè è genesi edenica di un nuovo spirito con cui guardare il mondo. Un nuovo modo di intendere il proprio gesto e soprattutto la morte. Il giovane Alex, ovvero il disarmante e bellissimo Gabe Nevins, è la bellezza dell’adolescenza. L’adolescenza che è l’epoca (età sarebbe riduttivo) dei dubbi, delle domande e delle inquietudini. Questo ragazzo s’incontra senza volerlo con la brutalità o bruttezza della morte, ben rappresentata anche visivamente da una scena splatter molto efficace, quella che è credo una delle due scene più intense e commoventi del film: lo scambio di sguardi comunicanti(?) tra il giovane Alex e il povero guardiano della ferrovia morto tranciato da un treno. Il giovane Alex combatte la brutalità della morte con la bellezza della sua adolescenza. L’altra scena bellissima e intensissima è il lungo momento della doccia: ma come diavolo lo guarda Van Sant quel ragazzo sotto l’acqua battente? Questo è amore, amore non solo per l’età più bella, ma per la “adolescenza” tutta, che per molti, me compreso, è la condizione esistenziale dell’essere artista.
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