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Paranoid Park

Regia di Gus Van Sant vedi scheda film

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La recensione su Paranoid Park

di paloz
8 stelle

Premesse: ero giustamente preoccupato e incuriosito nel vedere su locandine e trailer la scritta “il capolavoro di Gus Van Sant”. Perché? Semplicemente perché non sai se sia vero o meno. Magari lo vai a vedere e poi è una ciofeca, ma non andarci proprio ti lascia addosso una curiosità indelebile. In tutti gli altri casi avrei scelto di non fidarmi, ma sin da quando mi è stato presentato questo film, ho capito che dovevo assolutamente vederlo, sperando in una sorta di “seguito” del meraviglioso “Elephant”. E sono andato all’anteprima.

“Nessuno sarà mai pronto per Paranoid Park”. Così recita una delle prime frasi del film.
Questo skate-park ci viene presentato come un luogo magico per tutti gli skater di Portland: dicono che all’interno ci sia gente davvero brava, che ci si incanti a vedere la gente fare acrobazie. Loro dicono così. Van Sant invece ce lo fa vedere completamente “nudo”, un parco senza gente che si ammazza in numeri da circo, bensì pieno di degrado e accidia. Un luogo ordinario, solo un po’ più sporco.
Alex ci va per la prima volta con un suo amico, e dice di rimanerne affascinato. Lui dice così. Ma la sua faccia no. Il volto di Alex è (apparentemente) inespressivo, e lo rimarrà per tutta la durata del film. Alex è un passeggero della vita, che accetta le cose così come sono. I suoi genitori stanno per divorziare, e lui si limita a dire: “Ci sono problemi molto più grandi, tipo la guerra in Iraq, la fame nel mondo…”. In realtà della guerra non gliene frega nulla. Ha altro a cui pensare.
Per esempio che ha appena ucciso un essere umano.
Ora apriamo e chiudiamo una breve parentesi: vi ricordate “Elephant”, con la sua struttura spezzettata (quasi tarantiniana), basata sulla ricostruzione dei fatti prima della strage nel liceo? Beh, una delle poche somiglianze (e le divergenze, fidatevi, sono tante) tra i due film è proprio questa. “Paranoid Park” si apre a delitto commesso: successivamente attraverso flashback e flashforward si rimetteranno insieme i pezzetti, fino a capire la meccanica del tutto.
Però “meccanica” non mi piace, sapete? Perché i film di Van Sant non hanno proprio un bel niente di meccanico. Perciò diciamo il corso degli eventi. Sapete, però nemmeno “eventi” mi piace. Perché in “Elephant” si succedono degli eventi. In questa ultima fatica, il regista non ricostruisce un fatto storico, una vicenda vera e propria. L’omicidio involontario di Alex (non aggiungo nulla sulla trama, lo giuro) non è il punto fondamentale del film: la cosa che preme al regista, e allo spettatore attento, sono le emozioni che questo attore esordiente (Gabe Nevins) riesce a trasmettere con una forza davvero allucinante, e senza muovere un muscolo facciale. Sono gli occhi a parlare per lui. Ed è incredibile.
Van Sant, questa volta, ha davvero tutte, e dico tutte le carte in regola per un film da tramandare ai posteri. Un cast efficacissimo proprio perché totalmente spontaneo (e il regista ha capito bene che ci guadagna), le musiche contraddittorie per il tipo di scena alla quale sono legati: e poi la GENIALE, INCONFUTABILE e MAGISTRALE, basata su tanti piccoli trucchi di stile che rendono il tutto un piacere per gli occhi.
Va notato inoltre che lo sguardo è molto meno “gelido” che in “Elephant”: qui troviamo un accenno non indifferente di partecipazione alla scena, con le emozioni che comporta. Alcune scene al rallentatore (esempio: quella della doccia, dove con l’acqua Alex tenta di lavare via il passato – un omaggio al suo remake di Psyco?) sono molto più eloquenti di tanto parlare senza senso.
Ovviamente la cerchia di spettatori è ristrettissima. Come per pochi altri autori moderni, l’interesse che può esistere per un film lento, quasi statico, e incentrato su un solo evento non è davvero roba da tutti. E anche qui il discorso vale per il parallelo “Elephant”.
Parallelo sì, ma analogo assolutamente no. Si parla di giovani, ma in modi troppo diversi per accomunarli.
Morale della favola: Gus Van Sant si afferma pienamente come uno dei migliori registi dei nostri giorni, nell’affrontare dei temi impegnati che in pochi svolgono così bene, mentre gli altri non li affrontano proprio.
Ci ho pensato a lungo, mi ripetevo sempre: “aspetta a dire quale sia meglio, anche l’altro ti era piaciuto un sacco, e non è da meno”. Sono entrambi film favolosi, ma un gradino di superiorità per questo ci sta tutto. Un film sconvolgente, per il suo modo di parlarci, senza proferire una parola. E non molti riescono ad apprezzare questo, purtroppo. Ah, la gente d’oggi, che non sopporta i film sofisticati, complicati, intricati, bla bla bla…
Mi sento in dovere di spostare le virgolette all’inizio: nessuno sarà mai pronto per “Paranoid Park”, il capolavoro di Gus Van Sant.

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