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I padroni della notte

Regia di James Gray vedi scheda film

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La recensione su I padroni della notte

di ROTOTOM
8 stelle


We own the night. Sta scritto sui distintivi dei poliziotti, proprio sotto NYPD, scritta divenuta “brand” della grande mela, esibita come la Coca Cola, distintivo anch’essa di un sentimento di appartenenza che esporta il proprio mito in tutto il mondo stampato su abbigliamento trendy.
Mickey Mouse sono i poliziotti che portano quella scritta sul serio, lo sono per i componenti delle bande di trafficanti di droga russi che impazzano nella grande mela e che usano l’icona americana per eccellenza per sbeffeggiare i loro antagonisti, loro che l’America l’hanno trovata e usata.
Un film ambientato negli anni ’80, fatto in stile anni ’80. Un poliziesco duro senza compromessi, su una famiglia e poliziotti integerrimi, su una città brulicante di luccicose opportunità, uno scontro biblico che richiama Caino e Abele, il Figliol Prodigo e chi più ne ha ne metta. E tutto si mischia nella città illuminata, quella di Jay McInerney , quella cantata dai Kiss di New York Groove, quella dei duri e dei senza macchia e senza paura, la New York prima della possente cura anti criminalità di Rudy Giuliani in cui i capi mafiosi vanno ai funerali dei poliziotti in un’epoca che sente odore di Reagan, dell’edonismo e il diritto ad essere ricchi e felici e spensierati. James Gray è uno di quelli che fanno pochi film, li scrive e li dirige. E forse un po’ si capisce il perché, di questa anemicità. Bobby è un gestore di locali per conto di un capoclan russo ed è fratello di Joseph novello comandante di un nucleo di poliziotti della narcotici. Entrambi sono figli del capo storico del dipartimento della NYPD. Quando Joseph “viene sparato” da un sicario russo il buon Bobby fino ad allora figlio della notte spensierata e chimica, si mette dalla parte dei Mickey Mouse NYPD per stroncare il trafficante senza scrupoli che frequenta il suo locale. Il regista è un ottimo metteur en scene, solido, fisico di corpi e comparse, di facce e fumo e pioggia. Nulla è digitale e questo si deve sentire in un film di genere in modo che non lo faccia sembrare finto. E’ girato con maestria ma senza l’istrionismo di De Palma. Disilluso ma senza il furore di Friedkin. Introspettivo ma senza l’entomologica visceralità di Ferrara. Arioso ma senza l’epica Scorsesiana. Potente ma non quanto Mann. E’ così, è un film di James Gray, che scrive dialoghi a volte un po’ sopra le righe quando caratterizza i personaggi troppo caricati di iconografia noir, maschili e portati all’overacting, come se fossero solo nei panni dei personaggi e non nella parte; che azzecca due o tre momenti veramente affascinanti grazie ad un immaginario se non eccelso almeno onesto nelle intuizioni, ad esempio le due feste che formano l’icipit della storia e che riassumono le differenze di status della nuova società che si sta formando: i ricchi gangster nel locale di lusso tra sfarzo e belle donne e la desolante festicciola nel seminterrato dei poliziotti con mogli sciatte, cibo precotto e palloncini che tanto assomiglia allo squallido capodanno degli impiegati colleghi di Fantozzi nei sotterranei della megaditta. Il mestiere si mischia alla capacità evocativa nella più bella sequenza del film, in cui i sicari sotto una pioggia battente inseguono in automobile la colonna dei poliziotti. Figure nere che vengono vomitate dai finestrini, confuse ed oblunghe nei loro fucili che sembrano prolungamenti di un corpo che di antropomorfo non ha più nulla. L’inseguimento finale, nel canneto in fiamme e il padrino inginocchiato in riva al mare. Sequenze, sprazzi in cui la storia si dipana e si spiega, le famiglie si confrontano, la droga si scambia, e le parti si invertono, l’amico tradisce e come tradizione il tutto si risolve in un duello tra il buono e il cattivo. Però poi il bravo poliziotto fallisce sul più bello e poco prima l’infiltrato viene scoperto. La bella se ne va e non torna: finiti soldi, finito amore. Fratture. Il merito di Gray è di non cedere del tutto alle dinamiche scontate dei film di gangster, cerca di stupire, di fare intendere che la vita è così: a volte va storto qualcosa. Rimane un Robert Duvall eccelso, un Joaquin Phoenix fisico e sofferto. Una Eva Mendes morbida e succosa. Solo Mark Walberg, opinione personale e assolutamente contestabile, serioso e ingessato in un ruolo non pienamente suo è un attore che film dopo film mi sembra costantemente fuori parte. Esordì mostrando trenta centimetri di dimensione artistica in Boogie Nights, erano gli anni ’70, in questo film sono gli anni ’80. Evidentemente qualcosa è cambiato.

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