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Grindhouse. A prova di morte

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su Grindhouse. A prova di morte

di maso
8 stelle

 

 ........le donne sono una macchina di morte, con chi preferite morire:  Rosario o Rose

 

L'acceleratore pigiato fino a squagliare gli ingranaggi ed un campionario di attrici formose giovani e sensuali sono il pezzo forte di questa pellicola puramente adrenalinica con la quale Tarantino fa un omaggio dichiarato ad un pacchetto di B-movies e film cult a basso costo a lui cari che rappresentano il suo background artistico.

L’usura e i sobbalzi dei frames ritmati da una serie di brani americanissimi ed altri provenienti dal nostro cinema settantino caratterizzano il film più di una trama in effetti molto semplice che ha deluso non poco i suoi fans bramosi di una nuova intricata mescolanza di generi, situazioni e personaggi; in realtà Tarantino voleva riproporre certo cinema a lui caro che veniva realizzato in economia sfruttando un budget più cospicuo che gli permettesse di ottenere immagini e sequenze qualitativamente superiori e da questo punto di vista l’operazione è riuscitissima perché la sequenza dell’incidente che chiude la prima parte e l’inseguimento nel movimentato finale  sono dei veri e propri capolavori della tecnica sopraffina del regista che ha organizzato le riprese interne, esterne e sulle auto con grande bravura: la scena finale ripropone situazioni ed angolazioni già viste in “Duel”, “Punto 0”, “Grand theft auto” e tanti film su quattro ruote mentre tutta la sequenza notturna con il protagonista che rimorchia Rose McGowen sbatacchiandola con violenza sui cristalli duri della sua macchina mortale fino al frontale con l’auto occupata da Vanessa Ferlito e le sue amiche è una sequenza d’antologia completamente ideata ripresa e montata dal grande Tarantino, una manciata di minuti di pura follia e terrore, rock’roll ad alta velocità, violenza e stupore in cui grazie  all’alternanza di  tecnica classica come il ralenty, i primi piani, lo stunt in tempo reale ed un montaggio che ripropone il momento dell’impatto da diverse prospettive riesce a trasmettere allo spettatore la forza d’urto e la pericolosità di un incidente d’auto come mai nessuno era stato capace al cinema.

Kurt Russell interpreta come il leone codardo del Mago di Oz il bizzarro protagonista Stuntman Mike: una controfigura specializzata in incidenti spettacolari con la malsana ossessione per lo scontro con auto piene di belle ragazze e suadenti signore, bionde rosse o more per lui non c’è differenza, non ci viene spiegato il motivo del suo agire e Kurt Russell sfuma il carattere di Stuntman Mike con una vena di insano sadismo e disprezzo per le donne e per la loro sensualità che certifica senza dichiararla la sua impotenza.

Si aggira sornione in un auto nera come la morte guarnita sul cofano con un’anatra aereodinamica (in omaggio al personaggio di Chris Christofferson in “Convoy” di Peckimpah) e assettata per gli scontri e le acrobazie dei film d’azione: il rollbar, i vetri infrangibili, e il seggiolino dell’operatore al suo fianco ne fanno un mezzo a prova di morte, studia le sue prede a distanza per poi avvicinarsi strisciando come un cobra e colpire all’improvviso.

La preparazione agli inseguimenti e le acrobazie rappresenta la parte contestata del film ma in realtà queste sequenze vanno gustate in egual misura a quelle d’azione perché racchiudono una fitta rete di dialoghi al limite del demenziale tipici del cinema di Tarantino e mettono in mostra una squadriglia di gnocche mica da ridere che una vecchia volpe come Quentin ha selezionato e diretto stupendamente: Tamiia Poitier è una mulatta che si sballa a go go ignara di quello che l’aspetta, Rose McGowen anche cade nella trappola di Stuntman Mike che si rivela indifferente al fatto che sia classificata come una delle donne più sexy della terra, Rosario Dawson pure non scherza con quell’aria da strafiga che non sa se e a chi darla, la migliore è forse Vanessa Ferlito che viene intelligentemente vestita di due ciabattine, una canotta, un paio di short attillati e niente più per esibirsi in un ballo al juke box che sfiora l’appetito di Stuntman Mike al ritmo di Down in Mexico, una sensualità genuina e per niente costruita che puoi trovare anche nella balera giù in città, la mia scelta però cade su quella “meno in vista” della compagnia che San Sebastiano protettore del deretano consegna a un destino oscuro e malsAno: Mary Elizabeth Winstead vien parcheggiata dal tipo che concede il giretto alle ragazze sulla Dodge Charger bianca riesumata da “The Vanishing Point” e l’ultima immagine di lei tutta caruccia nel suo vestitino giallo che si risveglia sulla seggiolina con al fianco l’orco meccanico che ooohohoh hohohoho evidenzia l’umorismo sporco che scorre lungo tutto il film, francamente chi resisterebbe alla Winstead bbbona com’è con quell’aria da Lolita dai capelli rossi.

 

 

Tarantino gira quindi il suo film più semplice a livello strutturale dirigendolo steso sul divano fra un intervallo dei due tempi del superbowl ma non per questo si risparmia tecniche di ripresa da fenomeno qual è e concede anche una promozione sul campo a Zoe Bell, la storica controfigura della Thurman che recita il ruolo di una stuntman che fa la stuntman nel lungo inseguimento finale avvinghiata al cofano della Dodge Charger.

Posso anche concepire chi critica questo film per la sua pochezza narrativa ma “Death proof” ha una valenza cinematografica elevatissima per Tarantino e l’origine del suo filmaking: è la prova mortale che il cinema di serie B prodotto a casa nostra, da lui come da noi tanto amato, se supportato da una tecnica elevata e un budget adeguato può diventare meraviglioso ed elevarsi a un grado assoluto di nuovo genere, ci si può aspettare quindi che in un futuro prossimo possa nascere una storia con i contro cazzi in cui vengano mostrati inseguimenti ed incidenti ripresi con la tecnica fantastica utilizzata da Tarantino in questo film che deve essere considerato più significativo che bello ma comunque scintillante nei suoi colori, le sue forme e le sue fighe.

Due righe bisogna anche dedicarle alla folgorante colonna sonora utilizzata a genio anche lei omaggiando e esaltando ancora una volta il nostro cinema seventies come la nenia tratta da "L'uccello dalle piume di cristallo" firmata Morricone che commenta la passeggiata della cricca di sfitinzie condotta da Rosario Dawson mentre Stuntman Mike le clicca dall'obiettivo della sua reflex, Italia a mano armata di Macalizzi ovviamente stesa sull'inseguimento finale oltre ad altri pezzi nostrani che si alternano alla bellissima musica della old school british e yankee come la già citata Down in Mexico che è una chicca ragalataci da Tarantino essendo la registrazione più rara tratta dalla sua gigantesca collezione di dischi, Dave Dee Dozy Beaky Mick and Tich di Hold Tight con quel sound anni cinquanta in stile Hollies che prelude macabramente l'incidente e tanta altra grande musica che si fa beffa del ciarpame insulso che gira oggi, altro pregio da attribuire al grande Quentin Tarantino che schifa il rap e gli effetti al computer e fa tutto con l'ottica retrò che piace al Maso per cui non posso che esaltarlo appena posso.

 

 

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