Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Con Grindhouse - A prova di morte il rapporto di amore-odio che suscita il cinema di Tarantino si fa ancora più “intimo”, ma ciò è del tutto comprensibile. Il regista di Knoxville ha sempre voluto rompere gli schemi sullo schermo: ha sempre voluto spingere il pedale dell’eccesso e della depravazione scenica, ma - nel far ciò - ha, peraltro, sempre curato un personalissimo stile registico, eclettico e inconfondibile. Inevitabile che la sua acre, visionaria sensibilità artistica - mai impiegata per cause propriamente “umanitarie” però - abbia fatto storcere non pochi nasi. A maggior ragione in questo film, dove una siffatta stridente frizione è ancora più acuita dal fatto che al fortissimo impatto visivo di alcune scene (tale da renderle certamente indimenticabili; e questo - volenti o nolenti - è un merito), si contrappone una sceneggiatura del tutto frivola e vuota (o meglio: ricchissima di inconcludenti dialoghi logorroici e di tante - anzi, no - tantissime citazioni - evidenti anche a partire dalla stessa messinscena - per cinefili amanti dei B-movies degli anni ’70 e ‘80), che ha pure il difetto d’interrompersi sul più bello (avrei proprio voluto sapere che fine avesse fatto la dolce Lee, invischiata tra le grinfie di un losco lercio arrapato).
Insomma, l’impressione è che questo film costituisca solo un’esercizio di stile. Un affettuoso omaggio al cinema d’exploitation di più di 30 anni fa da parte del suo più grande e famoso fan. E che, tuttavia, non lo siano le sue nutrite schiere di ghiotti seguaci pazienza. Dovranno accontentarsi di una manciata di scene ben confezionate (una hot e una splatter nella prima parte e una lunga sequenza d’azione nella seconda) e null’altro.
Delusione ed euforia si spartiscono la scena e non allontanano il film dalla sufficienza; un po’ risicata.
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