Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Chi può bere il bicchiere della staffa dell’exploitation se non Quentin Tarantino? Destinato a scombinare il mondo del cinema ad ogni sua nuova uscita, il regista di Knoxville realizza con Grindhouse a prova di morte il suo lavoro più discutibile e criticato. Rispetto al precedente Kill Bill, Tarantino in continuità con l’incursione centrale dell’emisfero femminile nel limitato immaginario del maschio, eleva questa volta a ruolo di protagoniste delle basic girls, abbandonando quella aristocrazia del crimine ad alto livello a cui appartenevano le donne di Kill Bill. Nel pieno rispetto del genere exploitation ci riporta indietro di trent’anni, anzi proprio dentro una sala grindhouse, dove si proiettavano film a raffica, fra coltri di fumo, patatine, popcorn, il rumore del proiettore che mitraglia fotogrammi e il suo occhio luminoso che taglia in due il buio. Il contenuto narrativo è azzerato, in nome dell’esaltazione iconografica e simbolica Tarantino senza approfittare delle ulteriori possibilità offerte dalla tecnologia, rilegge tutto il campionario della materia esplicitamente riferito a sesso, violenza e sangue con la sua abilità, con la sua modernità linguistica, e che piaccia o meno ne sottolinea i cromatismi ideologici e funzionali che hanno intaccato forme di cinema più elevate. La volontà di svuotamento di un contenuto interno è evidenziata dagli espedienti tecnici usati, la pellicola rigata, salti d’immagine, buchi e imperfezioni non riprese che il regista adopera per affievolire i tentativi di analisi dello spettatore chiamato in causa per condividere esteticamente divertimento e astrazione. Dunque Grindhouse è anche un testo didattico, omaggio dichiarato alle sue matrici, Punto zero, Trincea d’asfalto e Strada a doppia corsia su tutti. Il piacere della citazione (e dell’auto citazione), della catalogazione, diventa quello dello spettatore, dalla prima parte dominata dal buio della mente di Stuntman Mike, si passa al riscatto solare e gioioso delle casuali vendicatrici, eroine del quotidiano, il loro aspetto è normalizzato, senza le curve alla Russ Meyer ma con la stessa attitudine alla riscossa animale. L’attrice Zoe Bell per esempio che nella seconda parte del film interpreta Zoe è una vera stuntwoman che in Kill Bill è stata la controfigura della Thurman, sembra la più normale del gruppo delle ragazze e si rivelerà come la più scatenata e spietata. In un continuo gioco di rimandi e di riferimenti al cinema degli anni settanta, Tarantino fa a pezzi la sua mitologia, il film perde ogni connotato narrativo verosimile e diventa il supremo ed estremo omaggio al road movie, personaggi e dialoghi ancora più superficiali su cui sovrasta musica a palla e motori al massimo dei giri, tutto ingiustificatamente lecito, fino a quando le auto corrono quasi senza un perché, fino a quando la corsa finisce. Ecco che allora il film non ha più motivo di esistere. Alla salute, Quentin.
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