Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Come in "Pulp fiction", Tarantino confeziona più film in uno. "Grindhouse" è multiforme, sregolato, imprevedibile, come una sinfonia dai movimenti vari e dissonanti. L'autore sfugge ai tradizionali canoni della cinematografia, reinventando la scansione dei tempi, e sciogliendo la trama in una pellicola dall'andamento altalenante, a volte compresso, a volte dilatato, a tratti potente, a tratti sommesso. Lo spettatore si sente, a seconda dei momenti, rapito, inquietato, rassicurato, annoiato, abbandonato, in un gioco di tira e molla che lo lascia in sospeso e inappagato fino all'ultimo: solo allora il cerchio si chiude, la storia si compie, ed il finale brilla come un'insegna al neon sullo sfondo degli eventi accaduti; è come una stellina che splende sul cumulo dei fatti pregressi, e ne pone in luce la complessità e la ricchezza. Quest'opera non è certo la migliore di Tarantino, però è proprio la carenza di humour e di spettacolarità a evidenziare la singolarità della tecnica narrativa, ed il suo peculiare modo di creare la tensione.
Tarantino produce una storia dotata di consequenzialità, filo logico e realismo, eppure dal carattere indefinibile, e quindi, in definitiva, senza senso. È questa l'ennesima testimonianza della suo scanzonato pessimismo, secondo cui la vita è - un po' allegramente, un po' tristemente, un po' rabbiosamente - sempre e comunque sballata. E la colpa è tutta nostra: di noi, esseri irrazionali e scioccamente scalmanati.
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