Regia di Marina Spada vedi scheda film
La protagonista di questa pellicola è Milano, con i suoi muri sbrecciati, le sue brutture, il grigiore, gli spazi desolati, la disperazione di una vita inutile. Alcune inquadrature mi hanno ricordato i quadri di Mario Sironi, la sua ieraticità, il suo stile nella composizione delle immagini. La regista Marina Spada dirige con piglio sicuro, si permette vezzi d'autore, tagli arditi e coraggiosi, svolazzi e arzigogoli. Tutte gimmick queste che impressionano e colpiscono molto positivamente, ma ad un certo punto questi giochetti cominciano ad apparire telefonati, e sanno di stantio, come un acrobata che entra in pista con un triplo salto mortale e poi continua a ripeterlo fino alla fine del suo numero. La Spada inoltre sceglie la via più comoda, non si assume alcuna responsabilità nei confronti dello spettatore, semina dubbi e non li risolve, e confeziona un finale che più facile di così (per lei) non si può.
Il cast è buono, Anita Kravos è asciutta e gradevole, mentre a Karolina Dafne Porcari viene chiesto solo di troneggiare con la sua statuaria bellezza. Gli uomini sono figure marginali, inutili fuchi che fungono solo da contorno.
La nota più dolente del film è la presenza nella colonna sonora di una canzone di Laura Pausini.
Il titolo del film è preso da una poesia di Anna Achmatova:
come vuole la carne separarsi dall’anima,
In conclusione, il film è degno di attenzione e apprezzabile soprattutto da un punto di vista formale, ma con maggiore rigore ed impegno nella scrittura il risultato sarebbe stato decisamente migliore.
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