Regia di Zhang Yimou vedi scheda film
Quando vidi per la prima volta al cinema La Città Proibita rimasi perplesso: reduce dai precedenti Hero e La Foresta Dei Pugnali Volanti, dove l'epica e la poesia la facevano da padrone, uscii di sala a fine proiezione stomacato dai colori saturi e oppresso da un senso del tragico più greco o shakespeariano che cinese. Qualche giorno fa mi è capitato di imbattermi nuovamente in questo film, e di averlo riguardato con occhi diversi, forse curioso di confrontarmi con quanto vissuto in prima persona nella reale Pechino di un viaggio piuttosto recente e fresco nella mia memoria. La maestosità del luogo, che nulla ha a che spartire dal punto di vista cromatico con l'eccesso quasi fantasy dell'immaginario proposto da Zhang Yimou, ben si presta a intrighi di corte e tramacci complicatissimi e gesta violente, intrisi fino all'osso di brama di potere e sete di vendetta. Lo sfarzo e il lusso accentuati all'inverosimile e la ritualità esasperata proposti non sono altro che un espediente per il regista cinese per isolare le gesta dei personaggi in una scena che rasenta il mito, il primordio del marcio politico, il totem della prevaricazione, della vendetta e del male sociale. Grande prova stilistica e autorale dunque, coraggiosa e minuziosamente studiata, preparata e realizzata. Una rivendicazione di paternità dell'opera e di personalità artistica scevra da qualsiasi forma compiacimento e disinteressata al rischio di flessione commerciale. Il casting e la spettacolarità d'insieme assicurano comunque pubblico.
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