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Pirati dei Caraibi. Ai confini del mondo

Regia di Gore Verbinski vedi scheda film

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La recensione su Pirati dei Caraibi. Ai confini del mondo

di scapigliato
8 stelle

Chi ha presente i vecchi film di cappa e spada sa che c’è un segreto. Come può un film gettarci dentro all’immaginario di cui racconta? C’è un segreto, e non ha nome. Capita. Soprattutto se c’è mestiere e bravura in chi lo realizza. Questo terzo capitolo dei Pirati dei Caraibi a là Johnny Depp, che è il perno centrale di tutto il progetto, è il più bello della serie, ma è anche il più oscuro, il più metafisico, il più lugure e il più macabro. Ci sono passaggi davvero antologici, di una bellezza visiva incredibile, raccontati con giustizia e mestiere. I personaggi aumentano, ma mai come prima hanno tutti il loro giusto spazio: nessuno pesta il piede all’altro, e nessuno dei comprimari risulta periferico e inutile. Merito questo di una sceneggiatura che se da un lato è troppo complicata ed articolata nella spiegazione della trama, dall’altro è sicuramente generosa nella distribuzione delle parti e mette ogni singolo personaggio nella posizione che gli spetta. Al di là del celebre Keith Richards, la cui apparizione è si periferica, anche se incredibilmente azzeccata, tutti gli altri personaggi sono presenti con profondità all’interno della diegesi. Su tutti, manco a dirlo, troneggia Johnny Depp che in questo terzo episodio dà il meglio di sé. Il suo istrionismo è impagabile: stilizzato ma d’autore, una cosa rara e impossibile. É coinvolgente, diretto, simpatico, antieroico... è tutto quello che ci vorremmo aspettare da un vero capo filibustiere. Non dimentichiamoci che qui i protagonisti sono dei pirati e non di certo degli asserviti borghesucci timorati da Dio o dall’istituzione. Ma se il film di Gore Verbinski è il migliore della serie, è dovuto anche ad un’impatto visivo che permette all’estetica tutta del film di fare breccia all’interno dell’annoiato spettatore medio. Di questi tempi si sogna poco, colpa dei governi e della televisione, e dei governi televisivi e generalisti, eppure l’uomo ha in sé il gene del sognatore. É prerogativa dell’essere umano tendere all’infinito, e quando ci sono film che ci aiutano a proiettarci altrove, noi subito li seguiamo.
Tutta la prima parte del film è incredibile. Il gusto orrorifico per un microcosmo freak che si trova al cospetto nel neo-arrivato Chow Yun-Fat in quel di Singapore è solo il preambolo per tutto un regno macabro che si dischiuderà durante l’arco del film. C’è anche una forte dose di crudeltà, ovviamente patinata dall’assenza di gore e splatter veri e propri e dal fatto che, come è logico aspettarsi, la produzione è Disney e quindi sa raccontare un fatto crudele con le armi della patinatura. Il cinema, da questo punto di vista, è pericoloso. Infatti grazie alla scelta di più registri narrativi possiamo raccontare per esempio il genocidio di un popolo con il sorriso sulle labbra, o privandolo di tutto il suo orrore, sviando di conseguenza la riflessione umana su tale genocidio, su tale orrore, su tali crudeltà: cosa che sa fare bene il cinema americano filogovernativo.
Tornando ai Pirati di Capitan Jack Sparrow e ai passaggi migliori, uno su tutti, forse per deformazione mia personale, è il limbo in cui è costretto Johnny Depp prima che vengano a liberarlo. Non solo la schizofrenia del Capitano è divertentissima, ma è l’impatto visivo che colpisce al cuore. Girato, io credo, nel deserto di sale dello Utah, tutta quella scena surreale, estraniante, interiorizzata rispetto al resto del film che è ovvimente esteriorizzato, è il passaggio più rischioso che poteva portare il film al naufragio. Ma Gore Verbinski, senza eccedere in autorialismo, ha saputo tratteggiare il non-luogo con bravura, anche grazie all’apporto di Johnny Depp la cui presenza era fondamentale. L’uomo che dialoga, riflette e lotta con se stesso in uno scenario desertico, alienante, spoglio come il palco di un teatro, incorniciato da uno sguardo registico dichiaratamente surreale è il motivo Regina di tutta la mitopoiesi surrealista (o desertica, come la chiamo io), che al sottoscritto piace molto, e che si ritrova quasi sempre nelle “space operas” e ovviamente nei film western. E il western viene a trovarci anche in questo film. I tre pirati s’incontrano su di un atollo con i loro tre rivali (Will Turner incluso). Hans Zimmer, il compositore, compone per la scena un motivo d’accompagnamento che segue i passi della celebre musica di Morricone in “C’era Una Volta il West”. E anche la regia gioca coi luoghi western, inquadrando dapprima i tre pirati intravisti da dietro gli stivali di Turner, e successivamente cogliendo il particolare degli occhi in primissimo piano come spetta durante i duelli.
Ma tutto il film è un grande gioco di stili, registri e motivi tra i più conosciuti. Non solo il tono brillante di tutto il film cambia di segno ogni sua incursione horror, ma il pathos di alcune scene, effettivamente superflue, è altrettanto considerabile come strumento giocoso piuttosto che intenzione autoriale. Ma il marchio peculiare dell’intera serie e di questo episodio in particolar modo è tutta l’iconografia scelta con accurata attenzione. Gli ambienti e soprattutto i personaggi sono disegnati in modo da suscitare l’effetto sognante nello spettatore. Vedere “Ai Confini del Mondo” è come sfogliare quei vecchi libri d’avventura, il cui romanzo era intervallato da tavole disegnate, che a guardarle ci aprivano mondi sconosciuti. L’effetto è riproposto in questo terzo capitolo dove su tutti Johnny Depp campeggia sparazzino e senza vincoli: lui è pirata nella vita dopotutto. Ma a fronteggiarlo in bravura ci pensa Geoffrey Rush ovvero Barbossa, il cui carattere (inteso come personaggio) è uno dei più azzeccati della ciurma. Ma come non godere degli Uomini Pesce, Davy Jones e Maccus su tutti? E l’apporto amletico di Sputafuoco Bill Turner, ovvero Stellan Skaargard? O a bellezza eterea di Keira Knightley? Insomma, oltre a personaggi azzeccatissimi e superiori per impatto e bravura, ci sono anche caratteristi notevoli: dai siparietti comici di Pintel e Ragetti, alla simpatica senilità di Gibbs e Cannon, con il suo occhio sguercio e il suo pappagallo; dal look alla Errol Flynn di Orlando Bloom al machiettismo dei pirati della Fratellanza.

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