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Zodiac

Regia di David Fincher vedi scheda film

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21thcentury schizoid man

21thcentury schizoid man

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Zodiac

di 21thcentury schizoid man
8 stelle

Un poliziesco anomalo ma molto efficace diretto da un David Fincher particolarmente ispirato e interpretato da un cast in gran forma.

Nel 1969 un vignettista, Robert Graysmith (Jake Gyllenhaal), grande appassionato di letteratura ed enigmistica, decide di scoprire l'identità di un feroce assassino, conosciuto con il nome di Zodiac, che, in una lettera che ha inviato alle redazioni del “San Francisco Examiner”, del “Vallejo Times-Herald” e del “San Francisco Chronicle”, afferma di aver ucciso tre persone: David Arthur Faraday, Betty Lou Jensen e Darlene Elizabeth Ferrin (le prime due il 20 dicembre del 1968, la terza il 4 luglio del 1969 mentre era in macchina con il suo ragazzo, Michael Renault Mageau, miracolosamente sopravvissuto all’aggressione nonostante le gravi ferite riportate). Robert cerca di smascherare il killer prima con l’aiuto di un giornalista di cronaca nera, Paul Avery (Robert Downey Jr.), poi da solo. Nel frattempo, due ispettori della Squadra Omicidi di San Francisco, David Toschi (Mark Ruffalo) e William Armstrong (Anthony Edwards), indagano sui delitti compiuti da Zodiac e, grazie alle dichiarazioni di un uomo, individuano un possibile sospetto, Arthur Leigh Allen (John Carroll Lynch).

Basandosi su due libri scritti dal vero Robert Graysmith, “Zodiac” (1986) e “Zodiac Unmasked: The Identity of America’s Most Elusive Serial Killer Revealed” (2002), nel 2007 David Fincher, su sceneggiatura di James Vanderbilt, gira un poliziesco anomalo e disturbante che, come aveva già fatto Fritz Lang in "Quando la città dorme" (1956), più che sulla figura del sadico omicida, che rimane sfuggente e inafferrabile, si concentra su coloro che tentano di catturarlo per mostrare le ripercussioni negative che le indagini hanno sulle loro esistenze.

Il caso Zodiac, il serial killer che sosteneva di aver ammazzato trentasette persone (ma di tutti gli omicidi che asseriva di aver commesso, la polizia gliene ha attribuiti cinque, gli altri non si è sicuri che sia stato lui) e che ha ispirato il personaggio di Scorpio, il criminale psicopatico a cui dava la caccia l’ispettore Callaghan impersonato da Clint Eastwood in “Dirty Harry” (1971) di Don Siegel, ha segnato in modo indelebile le vite dei poliziotti David Toschi e William Armstrong (il primo è stato accusato di aver scritto una missiva spacciandosi per Zodiac, accusa rivelatasi poi infondata; il secondo, invece, ha chiesto il trasferimento in un’altra squadra perché il caso lo teneva troppo lontano dalla famiglia), nonché quelle del giornalista alcolizzato e drogato Paul Avery (che ha ricevuto minacce di morte da parte di Zodiac) e del disegnatore Robert Graysmith (che ha finito per rimanere ossessionato dalle sue ricerche al punto da trascurare i suoi familiari).

Per raccontare le storie delle persone che hanno cercato invano di dare un volto al misterioso serial killer che si divertiva a sfidare la polizia con dei messaggi cifrati (alcuni dei quali tuttora irrisolti), Fincher ricorre a uno stile cupo e lugubre che raggiunge l’apice nelle sequenze degli omicidi (i due fidanzati, Darlene Elizabeth Ferrin e Michael Renault Mageau, crivellati da colpi d'arma da fuoco nel folgorante incipit; la coppia, Cecelia Ann Shepard e Bryan Calvin Hartnell, aggredita con un coltello sulla riva del Lago Berryessa il 27 settembre del 1969; il tassista, Paul Lee Stine, freddato nel suo taxi con un colpo di pistola alla testa l’11 ottobre del 1969), filmate in maniera secca e brutale, tanto da essere quasi insostenibili.

Il risultato è un film immerso in un’atmosfera fosca e inquietante che oltre a turbare profondamente mostra la fallibilità dell’essere umano (le indagini condotte dalla polizia all’epoca dei fatti non sono state impeccabili) e l’impossibilità di stabilire una verità assoluta (ancora oggi non si sa con certezza chi fosse Zodiac). La prima parte è notevole e fila a meraviglia: fino a quando le ricerche delle forze dell’ordine e dei due dipendenti del “San Francisco Chronicle” procedono in parallelo, il regista americano, con la fondamentale complicità del montaggio di Angus Wall, tiene lo spettatore inchiodato alla poltrona; ma poi, nella seconda parte, sparisce quasi del tutto il personaggio migliore del film, quello di Paul Avery (fantastico quando si rivolge a David Toschi chiamandolo "Bullitt", come il poliziotto interpretato da Steve McQueen nell'omonimo film di Peter Yates del 1968), per lasciare spazio a quello di Robert Graysmith, che diventa il protagonista assoluto della storia, e il livello della pellicola, pur rimanendo alto, cala lievemente.

Fincher, tuttavia, a dispetto della lunga durata, realizza un’opera tesa e avvincente che appassiona e coinvolge dal primo all’ultimo minuto. Come detto sopra, le sequenze degli omicidi sono impressionanti e non si dimenticano facilmente, ma il momento più angosciante del film è quello in cui Robert si reca nell’abitazione di un proiezionista, soprattutto quando il vignettista scende nello scantinato insieme al padrone di casa, un tizio dall’aria sinistra, e in quel preciso istante si sentono dei rumori provenire dal piano di sopra. Il secondo, con uno sguardo poco raccomandabile, dice al primo che non c’è nessun altro nell’appartamento oltre a loro due ma Graysmith, visibilmente spaventato, capisce che è meglio andarsene da quel posto il prima possibile. Una scena che fa venire i brividi solo a raccontarla.

La soggettiva iniziale, che fa credere allo spettatore che il punto di vista assunto dalla macchina da presa sia quello dell’assassino, quando invece, come si scopre in seguito, è quello di una delle vittime di Zodiac, Darlene Elizabeth Ferrin, è un vero e proprio pezzo di bravura. Puntigliosa la ricostruzione degli eventi (la storia abbraccia un arco narrativo che va dal 1969 al 1991), ottime la fotografia di Harris Savides (specialmente nelle scene notturne, come quella in cui una donna, insieme alla sua bambina, accetta un passaggio da un automobilista che potrebbe essere Zodiac) e la colonna sonora di David Shire (la canzone che si sente durante il primo omicidio e sui titoli di coda è la bellissima “Hurdy Gurdy Man”, 1968, di Donovan).

Perfetto il cast: Gyllenhaal, Downey Jr. e Ruffalo sono bravissimi nei rispettivi ruoli, ma anche Elias Koteas (il sergente Jack Mulanax), Brian Cox (l’avvocato Melvin Belli), Chloë Sevigny (Melanie, la compagna di Graysmith) e Philip Baker Hall (Sherwood Morrill, il perito grafico che analizza la scrittura del “Killer dello Zodiaco”) offrono prove convincenti.

Chi si aspettasse di vedere un poliziesco con sparatorie e inseguimenti rimarrà deluso, perché Fincher, cineasta talentuoso ma discontinuo che qui firma il suo lavoro migliore insieme a “Seven” (1995), se ne infischia delle regole del genere; ma se invece cercate qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che esca fuori dagli schemi abituali, “Zodiac” soddisferà pienamente le vostre aspettative.

 

http://starless1979.wordpress.com./

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