Regia di David Fincher vedi scheda film
David Fincher sceglie una storia di cronaca nerissima per tornare alla regia dopo il (fin troppo) virtuosistico Panic Room: quella di Zodiac, serial killer americano che tra gli anni '60 e gli '80 uccideva per puro piacere, e che non venne mai catturato.
Sulla base del meticoloso script di James Vanderbilt, adattato dal denso romanzo-inchiesta di Robert Graysmith, Fincher persegue lo stile diretto e sobrio di Seven e The Game (senza mdp vorticose che si infilano in luoghi impensabili, per intenderci), incentradosi sulla spietata gara all'ultimo sviluppo sull'adescamento dell'assassino tra giornalisti e polizia. L'indagine si insinuerà sotto la pelle e nella personalità dei personaggi (tema caro al regista di Fight Club), provocando conseguenze differenti in ognuno di essi.
Il cast all-star (Downey Jr, Ruffalo e Gyllehaal perfettamente in parte) conduce lo spettatore nel cuore di un caso oscuro e complesso attraverso le due ore e mezza di durata; tuttavia sia gli attori che il ritmo sfrenato di scansione (temporale e filmica) il più delle volte tiene viva l'attenzione. Come può accadere nei gialli polizieschi, il grado di tensione può attenuarsi nell'arco del secondo atto a favore della chiarezza narrativa, ma Fincher si sa che ama uscire dal genere: dinamiche ed implicazioni ad esso estranee quali il morboso interesse per l'assassino, l'aura negativa che questi esercita sui detective, i patti e le fratture tra media e polizia sono decisamente apprezzabili. Ciò concorre a tratteggiare un male pulsante e inguaribile, delocalizzato e manipolatore, e tuttavia privo di un volto.
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