Regia di Mohsen Melliti vedi scheda film
Giuseppe e Yousef sono due pescatori. Uno è siciliano e l'altro è tunisino. Sono soci e dividono la stessa barca acquistata con fatica per liberarsi di padroni e padroncini. Sono amici e, seppur diversi, vivono le loro vite su quel peschereccio, terra comune senza confini né bandiere. Il sospetto che Yousef possa essere un terrorista li allontana risvegliando i nascosti pregiudizi che si credevano sepolti e spingendo i due uomini alla diffidenza e allo scontro. Questo è Io, l'altro, opera prima del tunisino Mohsen Melliti: una parabola sulla fragilità della convivenza pacifica, sulla necessità di soffocare il sospetto sempre in agguato verso chi è diverso, "altro" da noi. Non discutiamo le ottime intenzioni che sono alla base dell'operazione né lo spirito progressivo che la anima. Restiamo però sgomenti di fronte alla povertà della messa in scena, al vuoto pneumatico di idee, alla tendenza di ridurre tutto a flebili macchiette. Il simbolismo è francamente ridondante, la recitazione approssimativa, la meccanica narrativa farraginosa e stanca. E tra uno sguardo intenso e l'altro del povero Raoul Bova il film scivola via senza lasciare traccia dei buoni propositi dell'avvio, costringendoci ad attendere la fine come un momento liberatorio, annegati da tanto, troppo mare.
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