Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Passano i semestri e da Hollywood e dintorni (gli indipendenti più o meno presunti) continuano ad arrivare i film antiBush Jr. Lo è, in una certa misura, anche Man of the Year: molto indiretta e piuttosto cauta, come si addice a Levinson, democratico sincero e moderato, che l'ha anche prodotto e scritto. Regista medio ed eclettico nei generi, con soprassalti creativi, Levinson (1942) non fa mai dimenticare che, in fondo, è un bravo sceneggiatore passato alla regia e che, efficace direttore di recitazione, si è messo troppo spesso, specialmente negli ultimi anni, al servizio di star in caccia di premi Oscar. Qui ritorna con Robin Williams con cui aveva già fatto il buon Good Morning, Vietnam (1987) e lo sbiellato Toys (1992). La situazione di partenza è, come si suole dire, brillante: Dobbs, comico televisivo politicamente scorretto e spregiudicato, si fa candidare - un po' per ischerzo e un po' per pubblicità, alla campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti. Tra la sorpresa generale, e sua, viene eletto, sconfiggendo i politici di professione. Una disfunzione nel sistema informativo per le elezioni però, gli ha attribuito voti non suoi. Lo scopre una donna che passa i suoi guai: ormai al cinema è quasi un obbligo proporre personaggi femminili in positivo sebbene anche nella realtà, in privato e in pubblico, si meritino tutte le attenzioni del mondo. Nasce per Dobbs un problema di coscienza, ma, dato il personaggio, non è difficile indovinare come va a finire. Ebreo di origine che, come tale, si tiene quasi sempre in disparte, patriota a dicotto carati anche se onesto e critico, Levinson ha spesso dato il meglio di sé nei film ambientati nella natia Baltimora o nel mondo dei mass-media e dello spettacolo. Anche in L'uomo dell'anno la parte più riuscita è la prima dove si descrivono i rapporti tra il mondo dello spettacolo e della pubblicità e quello della politica. Il merito è anche di Williams che, pur sminuito dal doppiaggio com'era inevitabile, dà una apprezzabile prova di sobrietà nel tenere a briglia corta il proprio istrionismo. Rimproverare a Levinson di non essersi spinto sino alla satira è come chiedere a una mucca di dare cioccolata invece che latte.
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