Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Si chiamino Silvio, George, Romano, Pierferdinando, Joseph… fanno tutti ridere. Anzi, specie nel nostro paese, chi fa più parlare di sé (e quindi ridere), riesce ad essere e a diventare qualcuno o qualcosa. Il problema sta proprio nella consapevolezza di comprendere la bella differenza tra il qualcuno o il qualcosa.
Perciò può anche accadere che un comico di successo, possa ambire alla poltrona di Presidente degli Stati Uniti. Questa è la storia di Tom Dobbs, showman di successo, che si fa strada tra il grande pubblico, per gli irriverenti attacchi verso politici e sistema americano. Qualcuno, profittando di cotanto successo, gli consiglia di candidarsi alle elezioni presidenziali, fondando un movimento indipendente. Così, durante l’accesa campagna elettorale, accompagnato dal suo manager e mentore Jack Menken, e dal suo astuto autore Eddie Langston, incontra molti politici (di quelli che ve n’è in tutti i paesi, specie nel nostro!), parassiti e nulla facenti. Sorprendendo tutti, Dobbs vince le elezioni, e la mattina seguente, una nazione in preda allo shock si sveglia scoprendo che sarà governata da un nuovo leader di un mondo libero, da un comico. Ma qualcosa non torna: difatti una scrupolosa analista di software, Eleanor Green, dipendente della società informatica Delacroy, incaricata del nuovo sistema telematico di voto, scopre un intoppo nel sistema, e soprattutto che Dobbs non ha realmente vinto le elezioni. Licenziata e senza che nessuna le creda, la Green riesce ad avvicinarsi a Dobbs e a confidargli la realtà dei fatti. Dobbs dovrà prendere la decisione più importante: tornare al suo talk show oppure restare nello Studio Ovale consapevole della verità dei fatti?
Barry Levinson, regista e sceneggiatore, non nuovo a lavori fra satira e politica (Good Morning Vietnam, Sesso & Potere), innanzitutto si avvale di un cast di prim’ordine: un Robin Williams esilarante, di un redivivo Christopher Walken e di una Laura Linney nelle vesti della Green. Costruisce una favola moderna, che fa pensare a noi italiani della grande possibilità che c’è data (sebbene, purtroppo, solo nella nostra fantasia) di poter aspirare, un giorno, ad avere come presidente Beppe Grillo, Dario Fo o un Luttazzi!
Per questo L’uomo dell’anno è molto interessante, specie per tutta la fase pre-elettorale, in cui i comizi, stile concerto rock, sono memorabili per quanto ci fanno riflettere sul rapporto fra media e potere; peccato, però, che lentamente il film cala d’interesse e di ritmo, in una stucchevole storia d’amore a stelle e strisce.
Giancarlo Visitilli
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta