Regia di Olivier Dahan vedi scheda film
Biopic di Edith Piaf (Cotillard), celeberrima quanto sfortunata artista che ebbe un culmine di popolarità - dapprima in Francia e quindi in tutto il mondo - tra gli anni '30 e gli anni '60 del Novecento. Figlia di un saltimbanco e di una cantante di strada, la piccola Edith venne abbandonata dai genitori e allevata dalla nonna in un bordello. Il padre la riprese con sé per esibizioni itineranti fino a quando il gestore di un noto cafè chantant parigino (Depardieu) non la prese sotto la sua egida, dandole il cognome d'arte di Piaf (passerotto) e lanciandola verso una carriera costellata di successi. Minuta e gracile, talento vocale assoluto, Edith Piaf ebbe una vita irta di difficoltà, culminate nella morte del suo grande amore, un pugile americano, che morì in un incidente aereo mentre si stava spostando per raggiungerla. I problemi con la droga, l'alcol, la salute, il delirium tremens la accompagnarono verso una prematura dipartita, avvenuta nel 1963 a soli 48 anni (ma il suo corpo devastato ne dimostrava molti di più). Dietro di lei una scia di canzoni come La vie en rose, Milord, Le vagabond, Les amants, Les histoires du coeur, La foule e Non, je ne regrette rien.
Interpretato con impareggiabile bravura da una Marion Cotillard camaleontica e straordinaria nello sfoggiare un repertorio espressivo assai variopinto, il film - pur servito da recitazione, scenografie e trucco di assoluto livello - risente eccessivamente dello ticchettio cronologico che porta la vicenda avanti e indietro nel tempo senza un preciso filo conduttore. Il pasticcio narrativo, spesso accarezzato da registri oleografici e sottolineato da un eccesso di musica, si moltiplica sul finale, quando ad esso si aggiunge la dimensione onirica.
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