Regia di Lamberto Bava vedi scheda film
Lamberto Bava è da difendere. O perlomeno, Ghost Son è da difendere. Il figlio di Mario non è mai stato una cima, ha fatto sì e no un paio di buoni film, però adesso sembra rimasto indietro di vent'anni: nel e per il genere, in Italia, al momento attuale è una condizione estetica e "poetica" non disprezzabile. Quasi una dichiarazione politica. Ghost Son non è soltanto vecchio stile, naïf e costruito con un'ingenuità artigianale da manuale; è soprattutto un prodotto che viene dal cuore, e si vede. L'horror per Bava jr. è ancora una questione d'amore, come dimostra questa storia di passione oltre i limiti fisici, paranormale e di possessione: fa bene, a costo di cialtronerie e ammennicoli d'antan dall'odore di soffitta. Alla larga da aggiornamenti epocali, Ghost Son si rituffa ai tempi di Macabro con effetti nostalgia tutt'altro che cinefili. Bava non vuole insegnare niente a nessuno, né recuperare un bel niente; vuole solo fare un film com'è/era capace di fare, alla sua maniera. E se la co-produzione glielo permette, ben venga. Controfigure e trucchi da rigattiere la fanno da padroni (per fortuna). Occhio alla citazione-omaggio letterale di Shock, che fa peraltro balzare sulla sedia.
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