Regia di Chris Kraus vedi scheda film
E’ facile accostare “i tre minuti” della canzone-tormentone dei Negramaro, dell’estate scorsa e i quattro del bellissimo ed intensissimo film di Chris Kraus, anch’egli a dimostrare come il cinema tedesco ormai è fonte inesauribile di ottime pellicole, una delle ultime Le vite degli altri.
Come nella canzone dei Negramaro, anche qui, si tratta di un tempo musicale, sebbene metafora di altro, quello che i musicisti si ossessionano a cronometrare con il metronomo.
Di film sulla musica e il tormento dei musicisti ce n’è tanti, da Shine a Lezioni di piano, ma quello che presenta Kraus è un film dalla storia più rude, brutale ed istintiva, sebbene, al centro vi sia l’amore per la musica.
La storia, fra l’altro tratta dalla biografia di Jenny, per lo più si svolge nel carcere femminile di Luckau, in cui due donne, assolutamente diverse per età, temperamento, ossessione e anche nell’interpretare la musica, si incontrano e si scontrano: Traude Krüger, è un’insegnante di piano ottantenne che impartisce lezioni alle detenute, in modo abbastanza rigido. E’ lei che scopre il talento di Jenny che, benché aggressiva e mentalmente squilibrata, è dotata di un eccezionale intuito musicale. L’insegnante tenta in ogni modo di convincere la ragazza a coltivare il suo dono, ma si scontra con un muro di resistenze fatto di traumi, paure, improvvise reazioni violente e totale riluttanza alla disciplina.
Nel film lo scontro è anche un fatto fisico: l’inquietudine di Jenny è visibile nel suo digrignare i denti, nelle mani dalla pelle morsa, negli occhi, il cui sguardo è talmente ossessivo da penetrare in ogni cosa. Di contro a tale inquietudine, messa in musica da un pezzo tormentato a cui spesso si abbandona Jenny, sembra un pezzo fra il free-jazz e la “musica nera”, la quiete e il classicismo di Schumann, musicista però che non disdegna dall’abbandonarsi a delle progressioni pianistiche di assoluta difficoltà per ogni ottimo musicista.
Quattro minuti ha di suo un merito eccezionale: insegnare la pedagogia, quella con la “P”, nel senso che l’insegnante ottantenne è un’ottima educatrice, nonostante l’età. E’ colei che offre, che non invade (oggi diremmo “non violenta”…) il già tormentato mondo della sua discepola. E’ per ciò che il difficile rapporto tra docente-discente si arricchisce di quell’umanità di cui non si è più capaci, per cui si è soliti dire “una volta era così…”.
Grande merito ad un regista come Kraus, ad appena la sua second’opera, capace di raccontare una storia non assolutamente semplice, ma nonostante tutto, riuscendo a mantenere il pubblico in tensione ed emotivamente coinvolto e ossessivamente accompagnato da una eccellente colonna sonora (Annette Focks). Come esempio potrebbe bastare l’inquadratura iniziale, emblematica di tutto il film, vite dimezzate, quasi appese e strozzate al filo della vita. Ma non sono poche le sequenze che si caricano anch’esse di inquietudine e tormento, perché mostrano nascondendo. Quella di Kraus è una poesia alla maniera di Montale, capace di parlare degli uomini in divisa attraverso l’immagine delle “formiche rosse in fila”, il regista utilizza invece l’impressionante inquadratura di un insetto che si contorce sul pianoforte, a cui segue l’altra inquadratura con la signora Krüger che, dopo l’inaudita violenza di Jenny nei confronti di un agente, rimane impassibile.
Pare che come l’altro poeta dell’Ermetismo, Ungaretti, si possa dire “si sta, come d’autunno. Le foglie”.
Giancarlo Visitilli
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