Regia di Vittorio Moroni vedi scheda film
Vittorio Moroni ha il merito di farci entrare subito nel suo secondo lungometraggio (dopo Tu devi essere il lupo) che racconta di Licu, nato in Bangladesh, musulmano, 27 anni, a Roma da otto, dove si è integrato quanto basta per sognare di tornare nella sua terra, sposare la donna che la madre gli ha fatto vedere solo in fotografia e tornare in Italia per costruire un futuro almeno accettabile. La sua forza è il suo sorriso e il suo pacifismo naturale e istintivo. Un bel modo per fotografare l'essere extracomunitario (termine, tra l'altro, aberrante) senza le retoriche della politica contemporanea, né le ipocrisie del giornalismo irregimentato. Moroni riesce nell'impresa di costruire un film su persone e fatti reali trasformando il documentario in una commedia a sfondo sociale che a tratti ha persino voglia di sentirsi un po' soap. Licu, infatti, è davvero un magazziniere che risiede nella nostra capitale da quasi due lustri. E Fancy, la donna sposata ormai da oltre un anno, ha conosciuto Licu veramente solo dopo le per noi inconcepibili contrattazioni familiari. Nonostante la pesantezza di una quotidianità che, se razionalizzata, porterebbe a ben altre reazioni e comportamenti, Licu è disarmante nella sua fragile forza, e impenetrabile nella sua contraddittoria accettazione delle tradizioni. Un film che va inseguito, letteralmente, e prenotato come richiesto dall'Associazione SelfCinema, l'ultimo disperato, romantico tentativo di distribuire piccoli grandi film italiani completamente ignorati dai poteri forti, sia cinematografici che televisivi.
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