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Salvador ­ 26 anni contro

Regia di Manuel Huerga vedi scheda film

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La recensione su Salvador ­ 26 anni contro

di giancarlo visitilli
8 stelle

All’inizio si ha l’impressione di trovarsi dinanzi alla “banda della Magliana spagnola”, poi il pensiero va agli episodi del G8 di Genova, e poi si pensa al Bertolucci di The dreamers, a Peppino Impastato raccontato da Giordana. Insomma, un film che racconta gli anni, non molto diversi da quelli attuali, in cui il Potere strisciante della politica e non solo, ha il predominio su tutto, specie sull’uomo, nella sua interezza.
Siamo negli anni Settanta, nella Spagna fascista di Franco. Salvador Puig Antich é un ragazzo catalano di Barcellona. Un coraggioso oppositore del regime fascista di Franco, durato ben trentasei anni. Salvador non sdegnò di militare clandestinamente nella lotta armata, con l’intento di liberare il suo paese dal dittatore e lottare insieme ai suoi compagni del Movimiento Iberico de Liberaciòn per l'emancipazione della classe operaia. Un giorno, durante una sparatoria con la polizia, é gravemente ferito e arrestato. Durante lo stesso episodio muore un poliziotto, ma non é mai stato accertato chi effettivamente avesse colpito a morte l’agente. Salvador fu processato, senza alcuna possibilità di difendersi, per la morte dell’agente e condannato alla garrota. Fu l’ultima esecuzione capitale voluta dal tiranno Franco.
A distanza di oltre quarant’anni, il bravissimo regista Manuel Herga, riporta alla luce una delle pagine più inquietanti della storia europea, e non solo spagnola, visto che in contemporanea, in Germania un pazzo e in Italia un altro folle davano prova della loro mostruosa capacità.
Il film, tratto da un libro di Francesco Escribano, “Conto alla rovescia - La storia di Salvador Puig Antich”, è sostanzialmente diviso in due parti: se nella prima vi si racconta la vita militante e clandestina di Salvador Puig Antich, nella seconda vi è la lunga detenzione in carcere e la successiva esecuzione capitale. Straordinario il susseguirsi dei punti di vista narrativi, sempre diversi e intrecciati, merito anche di un’eccezionale montaggio, dal ritmo inquietante e il cromatismo di una fotografia apparentemente algida, ma che punta direttamente al cuore, man mano che i colori si fanno più scuri e le emozioni più intense. Molto convincente anche l’interpretazione di Daniel Brühl, già giovane ribelle in rivolta contro la borghesia opprimente in The edukators di qualche anno fa.
L’efficacia della rappresentazione della morte, pur non cedendo mai al languore del sentimento, non manca di commuovere. Si piange per sentimenti misti fra la rabbia, a causa dell’impossibilità di evitare l’inevitabile, e l’impossibilità che la democrazia possa affermare il suo potere. Ma è un pianto che non annulla mai la consapevolezza di un presente che ci pone ancora oggi dinanzi alle atrocità che l’uomo vive e sopporta a causa dell’agognata democrazia. Nel film, finanche le musiche utilizzate sono di denuncia, si attinge da Bob Dylan, Jethro Tull, fino a King Crimson.
Alla fine, il giudizio non può che essere positivo, anche per il grande merito di aver ridestato nello spettatore il desiderio di rivedersi film importanti, citati dai protagonisti del film, come l’immenso I quattrocento colpi, del maestro Truffaut. Il cinema nel cinema.
Giancarlo Visitilli

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