Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Daniele Vicari torna sui passi di Joris Ivens. Che, su commissione di Enrico Mattei, tra il 1959 e il 1960 realizzò L'Italia non è un paese povero, oggi riconosciuto come uno dei documentari più lucidi ed emblematici di sempre. Il lavoro di Ivens gira in flagranza un lungo viaggio, dal Nord rinato dalle macerie della Seconda guerra mondiale, al Sud ancora contadino. In sostanza, la fatica di Ivens, alimentata dalla vitalità di Mattei, racconta(va) lo sforzo di industrializzazione di un paese alla vigilia del boom economico. Vicari, tra il 2005 e il 2006, ha voluto capire cosa è rimasto di quel sogno, ripercorrendo il Belpaese in senso inverso. Nel nuovo viaggio, dalla Sicilia industriale di Gela e Termini Imerese fino a Porto Marghera, passando per Melfi, i laboratori dell'Enea di Roma e la complessa dinamica dell'immigrazione cinese a Prato, Vicari fotografa una nazione, un territorio, un tessuto sociale in chiare difficoltà; e al contempo, un popolo che sta cambiando pelle, tra riconversioni, trasformazioni, sfide. Le immagini di Ivens sono per Vicari un punto di riferimento e quindi estratte a dovere per Il mio paese. Perdipiù, le due opere hanno l'onore di essere distribuite assieme (non in tutte le situazioni) dalla Vivo Film (che produce) e dall'Arci, che festeggia nel migliore dei modi i suoi primi cinquantanni di attività. Un'occasione pressoché unica per tentare di decifrare le mille contraddizioni italiane e confrontarle con le aspettative di cui sono impregnate le bellissime sequenze di L'Italia non è un paese povero (per il quale, ricordiamolo, lavorarono i Taviani, Moravia, Orsini, Brass ed Enrico Maria Salerno e che per la prima volta viene distribuito nelle sale nella sua versione integrale). La marcia per immagini in controtendenza di Vicari è all'altezza del percorso originario e dello sguardo del grande maestro olandese. Un documento che rimarrà.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta