Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Geniale è l'idea di partenza di Vicari, che prende spunto dal documentario di Joris Ivens del 1959, L'Italia non è un paese povero, che raccontava la miseria di una nazione la cui presentabilissima facciata era quella del boom e del benessere. E se Ivens lavorò muovendosi da nord verso sud in cerca di storie esemplari delle condizioni di degrado in cui l'Italia versava, ecco che Vicari quasi mezzo secolo più tardi compie l'opposto percorso per affrontare la crisi e descrivere un Paese allo sbando proprio al termine (2006) di cinque furibondi anni di governo berlusconiano, colluso con la mafia, incapace di gestire l'Euro, autore di leggi ad personam per salvare il premier dall'ergastolo, ma soprattutto dispensatore di falsità rassicuranti sullo stato di salute dell'economia nazionale. Grazie a Il mio paese si possono così affrontare tematiche spinose come le chiusure delle fabbriche, l'impossibilità di contrastare l'irruzione cinese sul mercato, la totale cecità dei governi (di qualsiasi fede politica, in questo caso) in materia di sviluppo economico. E' una visione amara, ma realistica e soprattutto necessaria per risvegliare la nazione dal torpore ottimistico-consumistico in cui è stata scaraventata da Berlusconi, soltanto per evitare a sè stesso di morire dietro le sbarre; ma tutto questo Vicari non lo dice, per quanto si possa intuire senza grossi sforzi di fantasia (oggi: ma domani?). L'unico neo del lavoro è pertanto la scarsa incisività 'politica' del discorso portato avanti dalle immagini e dai commenti. Il David di Donatello come miglior documentario è a ogni modo strameritato; complici del registi nell'ottima confezione sono Gherardo Gossi (fotografia) e Massimo Zamboni (musiche). 7/10.
Un viaggio in Italia, nel 2006, da sud verso nord: fabbriche a rischio di chiusura, invasione cinese nella produzione, tagli alla ricerca, una crisi economica che strangola il Paese.
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