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Il mio Paese

Regia di Daniele Vicari vedi scheda film

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La recensione su Il mio Paese

di barabbovich
6 stelle

Nel 1959, quando l'Italia aveva appena conosciuto il boom economico, il documentarista olandese Joris Ivens girò un film controverso (L'Italia non è un paese povero), che finì immancabilmente tagliato prima del suo passaggio televisivo dopo essere stato sottoposto alla rigida censura del tempo. Quel documentario metteva in luce tutte le contraddizioni di un paese spaccato a metà, in cui rimanevano sacche di povertà che i governanti del tempo non reputarono opportuno mostrare al pubblico televisivo. Daniele Vicari recupera parte di quei tagli agghiaccianti (sembra di essere nella regioni più povera dell'Africa sub sahariana), aggiornando l'operazione agli anni zero del XXI secolo. A distanza di tempo questo Paese ha ulteriormente accentuato le proprie contraddizioni, perso competitività sul piano internazionale e smarrito la fiducia nel futuro. Vicari ne parla percorrendolo da Sud a Nord e mostrando la dura realtà dei pescatori di Gela, fermi al tempo de La terra trema di Visconti, la povertà che permane a Grottole, in Basilicata, dove gli ultimi della Terra del documentario di Ivens sono oggi degli anziani con un tetto un po' più consistente sulla testa. Il viaggio lungo lo stivale prosegue facendo tappa a Termini Imerese e Melfi, località che denunciano la piena crisi industriale del paese per poi raccontare il problema di promozione delle nuove forme energetiche basate sulle celle a combustione degli imprenditori del Lazio. La fermata successiva è Prato, distretto industriale che conobbe una fortuna incredibile tra gli '80 e i '90, oggi costretto alla resa ai cinesi che, nelle loro kermesse ultrakitsch, allietano il pubblico con giochi di prestigio e intonando 'O sole mio (sic). Il punto d'arrivo (ma il viaggio proseguirà in pullman oltre frontiera per gli emigranti siciliani ancora in cerca di fortuna in Germania) di questa escursione in longitudine attraverso il Belpaese è Porto Marghera, stritolata tra il rischio dei licenziamenti di massa e la difficile riconversione industriale del polo petrolchimico. Encomiabile come sempre l'intento di Vicari, cineasta impegnato e serissimo al quale ancora una volta sembra mancare il giusto mordente e una consona capacità narrativa. La scelta della sua voce fuori campo si mostra infelice fin dalle prime battute, il passo registico è fortemente televisivo e pochissimo accattivante e l'intera operazione fornisce un quadro tutto sommato frammentario, anche se realistico, della condizione italiana, soprattutto sotto il profilo del lavoro. Gli interventi dell'ex imprenditore (oggi scrittore) Edoardo Nesi e del sociologo Gianfranco Bettin compendiano un'operazione riuscita soltanto a metà. Menzione di merito per l'ottimo accompagnamento musicale firmato da Massimo Zamboni.   

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