Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
La storia si svolge in una cittadina della provincia laziale fra gli anni 60 e 70 e racconta principalmente della rivalità fra due fratelli, Accio e Manrico, il cui conflitto viene a rappresentare simbolicamente le divisioni fra i diversi schieramenti nella scena politica italiana del periodo. Manrico è il fratello maggiore, ha molto successo con le donne ed è un fervente comunista, mentre Accio ha un carattere più difficile, scontroso e lunatico: all'inizio si reca in seminario per diventare prete, ma quando capisce di non avere la vocazione, si avvicina alle forze politiche neofasciste grazie ad un amico di età più matura, ponendosi in conflitto col fratello e con la famiglia in generale. Anche la sua attrazione per Francesca, una ragazza legata sentimentalmente a Manrico, non aiuta a ristabilire un buon rapporto col fratello...
Non conosco a fondo la filmografia di Daniele Luchetti, ma credo comunque che questo sia il suo miglior film: un ritratto molto sincero di una famiglia di condizione operaia che vive in un'epoca piuttosto turbolenta a livello politico-sociale, ben servito dalla sceneggiatura di Rulli e Petraglia che non può non avere più di un riferimento al loro grande affresco de "La meglio gioventù", scritto per Giordana e realizzato pochi anni prima. Ispirato al romanzo "Il fascio-comunista" di Antonio Pennacchi, allo scritttore non è piaciuto perchè secondo lui ci sarebbe un travisamento dell'opera letteraria, soprattutto nella seconda parte e nel finale, ma preso come film a se stante funziona molto bene, soprattutto nella cura con cui è reso il personaggio di Accio, reso nella sua sgradevolezza e nella sua sostanziale immaturità, ma anche con un'indubbia simpatia e affetto da parte degli sceneggiatori e del regista. A renderlo un personaggio a suo modo memorabile è l'interpretazione virtuosistica di Elio Germano, che risulta estremamente vitale e trasmette parecchie emozioni allo spettatore, alternando la sfrontatezza alla vulnerabilità e conquistandosi un meritatissimo David di Donatello. La sua successiva performance con Luchetti in "La nostra vita", premiata con la Palma d'oro a Cannes, risulterà ugualmente virtuosistica, ma forse meno autentica e incisiva rispetto all'eccellente interpretazione di Accio in questo film. Riccardo Scamarcio è ben calibrato nel ruolo di Manrico, mostra di saperci fare abbastanza bene come attore quando è diretto da un bravo regista, ma finisce per risultare surclassato nell'inevitabile confronto con Germano; fra i caratteristi spicca soprattutto un'ottima Angela Finocchiaro, madre proletaria dagli accenti di notevole intensità, mentre si ritagliano partecipazioni di un certo spessore anche Luca Zingaretti (bravo nel ruolo del fascista Mario Nastri), Anna Bonaiuto (fa sempre piacere rivederla, seppure il suo ruolo di moglie di Zingaretti risulti un pò sacrificato) e Diane Fleri, che può contare su un fascino fisico singolare, ma che riesce a non sfigurare anche come attrice. A mio parere Luchetti riesce a descrivere in maniera abbastanza equilibrata le diverse fazioni politiche, senza fare sconti a nessuno, mentre l'autore del romanzo Pennacchi, che era stato in gioventù realmente iscritto al MSI, si è lamentato che nel film "i fasci sono dipinti come brutti, grezzi e cattivi" (intervista a cura di Simone Olla sul sito "Giro di vite"). Forse un pò frammentario nella sua struttura episodica, con un finale drammatico che non passa certamente inosservato, è un racconto di formazione che riesce a dare un'immagine non stereotipata degli Anni di piombo e a descrivere una complessa dinamica familiare in termini vividi e credibili.
voto 8/10
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