Regia di Claudio Malaponti vedi scheda film
Forse è, alla fine, il film italiano più discusso finora del 2007. Ci sono dentro tutti, fra polemiche e tantissimi temi: cristianità e laicità, cinema italiano morto e cinema italiano vivo, critici e autore del libro (che è a sua volta un critico) da cui il film è tratto, e persino una multinazionale. E finalmente abbiamo visto anche noi 7 km da Gerusalemme, e possiamo dire, con tutta tranquillità, la nostra, con una recensione un po' diversa dal solito ma che tenta di mettere in luce il nostro pensiero (o meglio, quello del sottoscritto) su questa pellicola e su tutto quello che ha scatenato nelle ultime settimane.
Sul numero 15 di Film.Tv, Mauro Gervasini assegna al film di Malaponti il pollice verso, che significa ovviamente un giudizio negativo sulla pellicola. Scrive Gervasini: "[...] la parabola è quanto di più vicino a una pagina di catechismo ci si potesse aspettare". E sono queste parole che fanno scatenare Pino Farinotti, autore del libro da cui la pellicola è tratta e critico cinematografico. Sul sito del suo dizionario MyMovies, Farinotti risponde alla critica di Gervasini (innanzitutto chiamandolo M.G., come si firma il critico sulle pagine del settimanale, come fosse un perfetto sconosciuto), passando in rassegna i dati "oggettivi" della pellicola e finendo la sua risposta parlando del ruolo del recensore. La prima parte è dovuta, nel senso che ci sta, le intenzioni del suo libro (e di conseguenza del film, che ovviamente nella recensione del sito si becca tre stelle su cinque: ma non è un problema e ci sta pure) le sa lui e quindi è giusto che l'autore difenda la sua "creatura". Infastidito da alcune frasi della recensione (il già prima citato didascalismo da catechismo, ma anche il fatto che, sempre secondo Gervasini, il film sia "troppo spiegato"), Farinotti passa in rassegna tutti i premi che il libro ha vinto nel mondo, anche perchè secondo il critico di Film.Tv alcuni problemi della pellicola sono da attribuire "forse" (c'è il beneficio del dubbio) al romanzo di partenza. Ma il vero problema arriva dopo.
Scrive a conclusione della sua risposta Farinotti [copio e incollo integralmente]: "Ho molta comprensione per chi fa il recensore. Giuro che non c'è un critico (lo dico da critico) che non vorrebbe essere romanziere, o sceneggiatore, o regista, o magari, aspetto permettendo, attore. Di successo naturalmente. Scrivere libri che vanno nel mondo, che sono riconosciuti, che diventano film e soprattutto fanno bene alla gente, è più bello, importante e utile che scriverne la recensione. È magnifico fare un'opera ed essere criticati da una sigla. Per chi è costretto a esprimersi in 21 righe su una testata che fa testo… al contrario, può essere davvero liberatorio, e terapeutico, applicare quel pollice verso." Il discorso, sinceramente, fa storcere parecchio il naso. Si ritornerà mica alla questione che il critico cinematografico è colui che "vorrebbe ma non può", e quindi sfoga la sua frustrazione nelle righe che ha a disposizione? O forse questa è una ripicca che assume i toni grotteschi del litigio da scuola elementare? A ognuno la sua risposta. Non c'è malizia se però, di fronte a certe dichiarazioni, qualche lettore possa prendere ancora meno sul serio il sito MyMovies (sinceramente già non splendido, ma non siamo qui per parlare di questo), in cui lavorano molti critici e ci sono ogni settimana le recensioni dei film in uscita nelle sale: non si sputa nel piatto in cui si mangia, no?
Ritornando al film in sè, vanno bene le difese di Farinotti e le sue spiegazioni, ma il fatto è che Gervasini lo descrive benissimo, senza peli sulla lingua: 7 km sa Gerusalemme (non ho letto il libro, e quindi parlo della pellicola) sa di catechismo, di lezioncina banale e semplicina. Ed è vero che non tutto è brutto, qualche sequenza è valida, ma più il film si trascina fra le sue parabole e le sue ovvietà (lo ribadiscono tutti: sorprende che uno dei personaggi si chiami Giordano Bruni ed un altro Angelo Profeti?) più diventa noioso e poco coraggioso, nonostante le buone intenzioni iniziali. Per non parlare del finale, che sembra confermare l'idea che la pellicola stia decisamente dall'altra parte, come corrente di pensiero, rispetto a Centochiodi di Olmi. E come film di pensiero e di filosofia (di vita o meno), non vale di certo In memoria di me di Costanzo. Luca Ward oscilla fra attimi molto buoni e attimi mediocri, forse attribuibili -questo oggettivamente vero- alla freddezza di alcuni dialoghi della sceneggiatura. Alessandro Etrusco è uguale a Gesù Cristo, e per la parte forse basta questo.
Arriva in ritardo nelle sale, dopo che la Coca-Cola lo ha bloccato per la frase "Dio, che testimonial!", pronunciato dal personaggio di Ward che vede Gesà bere proprio una lattina di Coca. Alla fine, però, tutto ciò che sta attorno al film non può che aumentare la curiosità del pubblico nei confronti di questa pellicola... Voto: 4 [da Cineblog.it: http://www.cineblog.it/post/5564/7-km-da-gerusalemme-che-accendono-il-dibattito]
A volte fuori luogo.
Sceneggiatura.
Simpatica, bello ritrovarla!
Mediocre.
Piccola parte.
Fisicamente ci sta tutto, forse basta.
Piccola parte anche per lei, ma ha sempre un non so chè...
Anche lui ha una parte breve e neanche importante, sinceramente.
Qualche buon momento, qualcuno mediocre, colpa forse della sceneggiatura.
Buoni momenti, ma la pellicola è banale e sa di lezioncina.
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