Regia di Florian Henckel von Donnersmarck vedi scheda film
Berlino Est, Repubblica Democratica Tedesca, 1984. Il drammaturgo Georg Dreyman (koch) è un intellettuale assai apprezzato dal Partito e privo di zone d'ombra. Il ministro della cultura della DDR (Thieme) si invaghisce della sua compagna (Gedeck), una notissima attrice teatrale. Così Dreyman finisce nel mirino della Stasi, la polizia segreta che per anni ha spiato i tedeschi dell'Est. L'incarico di spiare Dreyman viene affidato a Gerd Wiesler (Muhe) un agente di valore che vede nella circostanza l'occasione per un avanzamento di carriera. Quando un carissimo amico di Dreyman si suicida, quest'ultimo - fino a quel momento rimasto fedele alla linea del Partito - decide di prendere posizione. Wiesler ne è al corrente ma le cose andranno in maniera del tutto inaspettata.
Al suo primo lungometraggio, Florian Henckel von Donnersmarck fa incetta di premi meritatissimi: non solo in patria, dove se ne è aggiudicati 7 (tra i quali quello per il miglior film, la miglior regia e la miglior sceneggiatura), ma anche all'estero (su tutti l'Oscar 2007 come miglior film straniero). Premi ineccepibili per un film che se non è un capolavoro, ci arriva quasi. Mescolando spy story, dramma psicologico e trama gialla, il giovane regista tedesco adotta uno stile assai classico, a tratti persino didascalico, con una sceneggiatura di ferro e un plot narrativo lineare privo di quelle diffrazioni temporali alle quali ci ha abituato il cinema a partire dagli anni '90. Una forma sobria, asciutta, aliena da virtuosismi eppure efficacissima, che fa da supporto a un contenuto capace di raccontare con intensa lucidità sia il passato recente della Germania che la parabola della presa di coscienza di un uomo. Ed è imboccando la strada di questo secondo livello narrativo - nel quale si incrociano destini, redenzioni, passioni e sentimenti - che Le vite degli altri conduce lo spettatore nel climax di un lungo finale tra i più belli che la storia del cinema possa ricordare.
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