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Le vite degli altri

Regia di Florian Henckel von Donnersmarck vedi scheda film

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La recensione su Le vite degli altri

di FilmTv Rivista
8 stelle

Un esordio folgorante questo Le vite degli altri, giustamente premiato in ogni dove (Oscar americani, europei, tedeschi...), che si rintana nella brechtiana Germania dell'Est dominata dalla Stasi, la terribile polizia segreta che spiava tutto e tutti, in una sorta di Grande Fratello esatto contraltare ideologico del Big Brother capitalistico: là, nel comunismo, nessuno avrebbe voluto essere controllato, visto, sezionato, bloccato; qui, nel decadente Occidente, c'è la fila per farsi notare, rinchiudersi in case, isole, fattorie, stalle, ville affollate di pupe e di secchioni, music farm e via autoflagellandosi. Il debuttante Florian Henckel von Donnersmarck, a dispetto del nome con origini italiane nel sangue (che dimostra parlando sorprendentemente la nostra lingua), per due anni ha visto qualsiasi audiovisivo sull?argomento e ha letto qualunque supporto cartaceo, fossero gli ex dossier della Stasi, le testimonianze di chi subì i soprusi, i libri che, dal crollo del Muro di Berlino in poi, sono stati scritti a futura memoria. Nelle sue pregne e puntuali immagini il rigore storico e filologico si accompagna all'estraniamento della rielaborazione artistica: è il parto più fascinoso di quest'opera che non vuole giudicare e dimostrare nulla, solo riprendere un momento della lunga parentesi buia a cui una parte della Grande Germania fu assoggettata. E, tra l'altro, dall?ottica di uno strato sociale, quello degli intellettuali, divisi tra complicità e sospetti, mute e sofferenti resistenze, privilegi vergognosi che comunque chiedevano in cambio dazi insostenibili anche ai più irrigimentati servitori del Partito. È proprio uno di questi, lo scrittore e drammaturgo Georg Dreyman, coccolato dal Comitato Centrale e invidiato anche per la sua relazione con la bellissima attrice Christa-Maria Sieland (la seducente Martina Gedeck) a rinsavire, dopo il suicidio di un suo amico-collega, e a cominciare una lotta clandestina che non potrà che sfociare nella tragedia. Tra questi due personaggi, lo straordinario Ulrich Mühe nei panni dello "spione" Gerd Wiesler, chiamato dai suoi capi ad ascoltare ogni singola mossa dei presunti traditori del regime, un uomo solo, spietato innanzi tutto con se stesso, che cena a base di conserve riscaldate e, una volta al mese, si concede contatti fisici con una prostituta. È lui il simbolo, l'emblema, di una disfatta, che è politica ed è umana, ed è a lui che il finale (tra i più emozionanti dell'ultimo cinema) è dedicato, con la cinepresa che lo pedina dentro quel giubbottino da impiegato postale, ancora inconsapevole di essere stato uno scomodo testimone di una brutta Storia.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 15 del 2007

Autore: Aldo Fittante

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