Regia di Florian Henckel von Donnersmarck vedi scheda film
Dramma intimo e intimista che riesce, pur raccontando dimensioni private, a tratteggiare un'intera società. Purtroppo, oggi, anche un triste monito di ciò che l'Europa (e non solo) sta diventando, grazie alle solite scuse sulla sicurezza e la tutela dello stato e dei cittadini.
La tristezza è il sentimento predominante che accompagna la visione di questa elegia cinematografica. Parte come una convenzionale denuncia delle malefatte di regime, con tanto di interrogatori e tecniche di estorsione delle confessioni, ma piano piano trasporta su piani assai più intimi e intimisti.
L'amore e l'odio non si incontrano nè si scontrano direttamente, ma si giustappongono, come due note che restano nell'aria ancora un poco, dopo che lo strumento ha cessato di emetterle. Chi cerca di vivere, e di amare, si ritrova, suo malgrado, al centro delle attenzioni di chi ha scelto di odiare. A pensarci bene, la dittatura è proprio questo: l'imposizione di qualcosa - qualsiasi cosa - a qualcuno.
Le vite degli altri vengono ascoltate, spiate, scritte, lette, giudicate, interpretate, e perfino insegnate come esempi scolastici. Ma, soprattutto, sono pilotate negli aspetti fondamentali: l'amore, gli affetti, lo studio, la carriera, fino a che i proprietari non ne sono talmente estraniati da non considerarle neppure più proprie, e, quindi, perderle, o togliersele.
Un filo sottile pervade la narrazione, che mostra esempi di odio e amore di vario genere, con delicatezza, rispetto e pacatezza, rinunciando cioè agli eccessi, alle ostentazioni, e a facili drammatizzazioni. I misfatti più atroci si consumano nell'ombra e al buio, mentre per salvare le apparenze si scelgono termini inoffensivi, e si mettono al bando quelli descrittivi. L'eufemismo e il non detto sono forse l'anticamera della dittatura?
Non è da tutti fondere la critica sociale e politica con i sentimenti e le relazioni, ma in questo caso il risultato è talmente ben raccordato da far sì che ciascun aspetto arrichisca l'altro, anzichè somigliare a un'aggiunta romanzesca.
Come può, chi ha ascoltato questa musica, ma l'ha ascoltata veramente, rimanere cattivo?
Forse perchè ciascuno vede e vive se stesso attraverso qualsiasi opera, e quando si pensa che qualcosa tiri fuori il buono, si dovrebbe pur realizzare che quel buono non potrebbe emergere se non albergasse già all'interno. Ecco, dunque, che per molti anche la sinfonia più incantevole resterà solo un ammasso di note, belle o brutte, ma senz'anima.
Non è di certo senz'anima, però, Le vite degli altri, che delicatamente e in punta di piedi mostra i retroscena devastanti di vite espropriate.
Purtroppo, oggi, il film è di un'attualità insospettata alla sua uscita: già appurare che esiste un "Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica" ci suggerisce che la Stasi può essere scomparsa, ma i burocrati, i tecnocrati, i potenti che muovono i fili dietro le quinte, non si estingueranno mai. Ogni volta che uno stato parla di "sicurezza", in realtà vuol dire "controllo". Ogni volta che ci si impone qualcosa di non richiesto, nasce una dittatura. Quella europea, a lungo progettata, si è puntualmente manifestata, come una versione 2.0 di questa DDR, con spioni onnipresenti (vd. vicini di casa che "denunciano" chi fa una festa o innaffia le piante in giardino), controllo totale (Facebook & co. a questo servono), e repressione della libertà di pensiero e di diffusione del pensiero (vd. Google e altri colossi informatici che censurano chi non rispetta le posizioni "ufficiali", sempre con la scusa della sicurezza).
Tristezza immensa, dunque, assistendo al passato che si proietta nel futuro, e, giorno dopo giorno, diviene sempre più... presente.
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