Regia di Steve Bendelack vedi scheda film
Sono passati dieci anni da quando il dispettoso, stolido, mugugnante Mr. Bean passò trionfalmente dai laconici siparietti televisivi all'avventura losangelina su grande schermo. In California, questo prototipo della middle class impiegatizia inglese produceva danni paradossali e irreparabili, tra i quali la distruzione della Madre di Whistler, caposaldo della pittura americana. Catapultato in Francia da una vacanza vinta alla lotteria del vicariato, l'ometto qualunque è alquanto ridimensionato nella sua naturale foga distruttiva e, soprattutto, pare aver perso parte della sua acida cattiveria. Certo, viene scambiato per un rapitore di ragazzi (il figlio di un regista russo diretto al Festival di Cannes), ma in realtà il suo rapporto con il bambino finisce per assomigliare a quello di Chaplin con Il monello. E riesce a far saltare per aria un set pubblicitario mentre le telecamere sono spente, ma niente di paragonabile alla famosa gag di Peter Sellers-Hrundi Bakshi in Hollywood Party. Più che altro, fa del male a se stesso, per esempio quando, ignaro, ordina al ristorante prelibati frutti di mare e li sputa nel tovagliolo. È rabbonito, addolcito, indebolito. Com'è debole (e molto derivativo) tutto il film, nonostante la bravura di Rowan Atkinson e il sogghigno con cui Willem Dafoe prende in giro il cinema impegnato.
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