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I segni del Male

Regia di Stephen Hopkins vedi scheda film

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La recensione su I segni del Male

di scapigliato
8 stelle

Il film di Stephen Hopkins, bravo in “Under Suspicion” e molto meno bravo in “Spiriti nelle Tenebre”, è un film difficile da interpretare. Di solito si interpretano i segni, i simboli, i codici di un linguaggio, quindi è un paradosso non decriptare questi “segni del male” che fanno da titolo all’edizione italiana. Prima nota certa è la bravura del regista, di per sé quindi altalenante, nel riportare nelle immagini il fascino di una terra superstiziosa per ingnoranza congenita e il fascino della presenza maligna che vi aleggia sopra. Le piaghe bibliche, facilmente spiegabili scientificamente in cinque minuti come fa la sempre brava Hilary Swank, diventano in “The Reaping” pretesto per veicolare l’angoscia di un mondo, quello di oggi, che crede ai segni più strani, più criptici, più misteriosi, perché ha ormai perso la cognizione di causa. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti, ovvero l’utero da cui nasce ogni cosa destinata ad una visibilità e ad un seguito internazionale, hanno tentato e tentano tutt’ora di confrontarsi con l’anima nera del proprio paese. Una di queste è sicuramente il fondamentalismo cristiano di Bush e compagni (tristi e pericolosi) di merende. Ma non solo. Ad essere indagata è anche la potenza del “segno”, che esso sia naturale, artificiale o letterario. Lo fa del resto dall’altra parte dell’Oceano anche Ermanno Olmi con “Centochiodi”. Chiaramente in America tutto ha un sapore più spettacolare, da parco giochi, da parco a tema. Qui il tema è quello delle piaghe d’Egitto, e come in una visita guidata, il regista ci porta in questo percorso apocalittico dove l’acqua diventa sangue e dal cielo piovono rane. Però lo fa bene. Alle piaghe e alla loro facile spettacolarità non viene data tutta l’attenzione commerciale che altri vi avrebbero dato, Stephen Hopkins compreso, ma le si carica di funzionalità invasiva nella generazione dello squilibrio, o meglio disequilibrio della protagonista.
Dove voglia andare a parare è difficile dirlo. Quel “E’ il volere di Dio” davanti a tanta distruzione mi suona male, almeno per me che sono cattolico e non da Vecchio Testamento. Ma forse una spiegazione è plausibile ragionando come un americano. Là dove c’è il Male visibile ed esplicito, come nella cittadina di Haven, ancora più visibile deve essere l’irruenza aggressiva del Bene. Ed ecco che Hilary Swank nel attribuire tutta quella distruzione gigantesca al volere benigno di Dio non fa altro che allinearsi al fondamentalismo cristiano che aveva appena combattuto, solo che lei è di “segno” convenzionalmente opposto. Interessante infatti, la chiosa finale in cui la Swank porta in grembo il futuro anticristo. Alla fine, buoni o cattivi, se invasati religiosamente, siamo tutti ventri materni dell’anticristo.

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