Regia di Marco Risi vedi scheda film
Biopic di Diego Armando Maradona (Leonardi), il più grande e fantasioso calciatore di tutti i tempi. Correndo su e giù sulla scala del tempo, il regista Marco Risi ne racconta la parabola umana prima ancora di quella sportiva. Ed è qui che il film zoppica vistosamente: sorretto da una regia di impronta televisiva, con attori (tutti argentini, con l'eccezione di Leopardi e dell'ex grande fratello Pietro Taricone) che sfigurerebbero anche in una recita parrocchiale, La mano de dios indulge con ostentato prudore sugli aspetti meno edificanti del fenomeno di Villa Fiorito. Cocaina, ospedali, psicologi di sostegno, bordelli, alcol, la camorra del periodo napoletano, le sbruffonate, gli incontenibili aumenti di peso e ogni altro tipo di eccesso sono le tappe sulle quali il film, con un voyeurismo che asseconda questi tempi di pettegolezzo compulsivo, punta a ricostruire il personaggio. Il quale non solo - incarnato da un Marco Leonardi pressoché (giustamente) dimenticato dal cinema italiano dai tempi de Le buttane - non trasmette neppure la radice cubica del carisma dell'originale, ma di cui, nonostante gli effetti speciali usati con il pallone, vengono dimenticati aspetti importantissimi. Quello sportivo, innanzitutto, limitato a pochi riferimenti didascalici ai tempi di Villa Fiorito, Barcellona, Napoli e la nazionale argentina che negli anni '80 fecero di Maradona la stella irripetibile del calcio mondiale, regalando all'Argentina la coppa del mondo nel 1986 grazie alle sue imprese. Ma ancor di più quello anticonformista, che nel film di Risi si fa caricatura. Le sparate contro i potenti del calcio sono limitate a una specie di vaniloquio durante il matrimonio e la complicità con Fidel Castro e Chavez, l'intero periodo cubano, completamente dimenticato. Nonostante il cognome blasonato e la fitta documentazione raccolta, Risi dirige un'operina rozza incapace di emozionare, mostrando di essere ormai sideralmente lontano dal regista impegnato del periodo 1987-1994, quello di film come Mery per sempre e Il muro di gomma, e sembra irrimediabilmente tornato a quei non luoghi del cinema che caratterizzarono le sue orini di regista al servizio di Jerry Calà. Come già per Best, il calcio al cinema funziona poco e male.
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