Regia di Marco Risi vedi scheda film
L’epopea di Maradona, da quando ha cominciato a tirare calci ad un pallone fino a quando giocoforza ha smesso. “Maradona, la mano de dios” è un prodotto cinematografico spurio: a metà strada tra fiction e documentario, a metà strada tra stile all’europea e alla sudamericana, per tutto il film si ha la sensazione che il prodotto non sia né carne né pesce. Così come l’interpretazione di Marco Leonardi, bravissimo ad imitare la mimica del pibe de oro, ma sinceramente troppo eccessivo in alcuni passaggi. Marco Risi si avvale di un cast per metà sudamericano e per metà napoletano (tra cui spiccano non-attori come Pietro Taricone che, nonostante abbia una sola posa, è accreditato da film TV, mah!).
Il film, che temporalmente risulta interessante, con continui “palleggi” dal Maradona bambino a quello adulto, rimane però un ibrido poco convincente: un tentativo (fallito) di riportare la storia di Dieguito aiutandosi attraverso frammenti televisivi, uno stile narratologico che palesemente intende essere sensazionale, delle scene di raccordo spazio-temporali che tentano di cucire un filo logico laddove regna l’illogicità (Maradona a 16 anni ha il suo primo incontro amoroso con Claudia e mentre la possiede diventa il Maradona dell’86, quello del ’94, ancora quello del ’76, in un illogico ed inutile girotondo che intende esclusivamente stupire). Per non parlare dell’allenamento prima del mondiale statunitense, quando Diego diventa Rocky, o di alcune falle narrative imperdonabili come i 2 scudetti napoletani.
Insomma un film che lascia ad imperitura memoria soltanto lo sprecato contributo del Ministero dei Beni Culturali, che ha sovvenzionato parte della produzione. Marco Risi è un buon documentarista che, arrugginitosi ed impunemente spintosi in un campo non suo, risulta con evidenza lontano dai fasti de “Il muro di gomma”; e tutta la messinscena tecnica ne risente notevolmente.
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