Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
“Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. E chi ci crede ancora a ‘ste ‘cose? Solo una persona come Ermanno Olmi, sapiente settantaseienne, capace di raccontare anche standosene dietro i paraventi dell’immagine, può raccontarci quanto può essere vera la mistificazione che lega l’uomo al Libro. Si tratti di Corano, di Bibbia, di versetti satanici o di ben altra natura: tali scritture, più che nel cuore, finiscono per essere impresse nella mente di chi gestisce il mestiere delle armi della violenza.
Dopo due film capolavoro italiani, fra i più interessanti di questi ultimi anni, Il mestiere delle armi e Cantando dietro i paraventi, Olmi ritorna in grande stile e ci lascia con l’amaro in bocca, essendo questo il suo ultimo film di finzione, avendo deciso di continuare a fare cinema al modo di come aveva cominciato, girando documentari. Anzi, anche Centochiodi nasce dopo che il regista bergamasco ha lavorato ad un documentario sul fiume Po “e tutto ciò che c’è al di là del suo margine”.
Protagonista, un professore di filosofia delle religioni, che avverte sempre più il peso di una vita ingabbiata dalle sovrastrutture culturali. Così decide di lasciare tutto: l’insegnamento, la sua casa, la sua bella macchina, le relazioni con le sue belle studentesse, per iniziare un nuovo cammino. Quello sul fiume, con la sola differenza che il Cristo ci camminò sulle acque, lui ci passa lungo i margini, incontrando anche i cosiddetti “emarginati” (i vecchi per cultura, stile, riso e pianto), attraversando la campagna e imbattendosi in una casa diroccata sulla sponda del fiume. In essa il professore si stabilisce, per iniziare una nuova vita, in compagnia della popolazione del luogo; ma tutto durerà poco tempo, fino a quando qualcuno lo verrà a cercare, interrompendo la sua ricerca di libertà.
In Centochiodi Olmi, cattolico convinto e praticante, ha detto la sua in rapporto all’intolleranza, appendendo dio al chiodo. Infatti, a differenza di tanti politologi, esperti, editorialisti, vaticanisti e adulatori del nulla, ha sostenuto a chiari lettere, anzi, addirittura con chiare immagini, cosa è il fondamentalismo religioso, quello regolamentato e imposto dai “cleri”, che può servirsi dell’immagine di dio per giustificare in suo nome guerre, martiri e intrusioni nella vita politica di un paese. Pur servendosi di un tipo di racconto metaforico (il protagonista potrebbe essere il San Francesco che ripara la sua “San Damiano” lungo il Po, o il Cristo del 2007; le pale meccaniche che smantellano la sabbia e le case, si potrebbero considerare l’immagine irruenta, violenta e reale dell’invadenza della Chiesa negli affari non proprio spirituali della vita di un paese, ecc.), Olmi riesce ad essere moralista, ma in senso positivo, raccontando la religiosità che proviene dalla civiltà contadina, arcaica e vitale al modo di L’albero degli zoccoli. Ecco perché i chiodi rappresentano una sorta di arma con cui Olmi crocifigge la Chiesa, ma anche l’Università, la Polizia e quindi lo Stato. Ma Centochiodi è anche il racconto di quella “stagione dell’amore che viene e va”, quella della vecchiaia, in cui maggiormente si può avvertire il calore della solidarietà di un amico/a, insieme al brivido dell'attesa, “perché ci trovi pronti, con le lampade accese”.
Molte sequenze riescono a dire molto di più che una bella predica, anche in rapporto alla presenza o meno di un dio, merito anche della bella fotografia di Fabio Olmi, il figlio di Ermanno. Un grande svantaggio di questo film è stata la scelta di Raz Degan, non tanto per la sua interpretazione, pur non essendo il massimo (avrebbe potuto fare peggio senza Olmi), ma per averlo doppiato, seppure mediante un bravissimo Adriano Giannini. Quanto avrebbe reso di più quel suo italiano stentato, nel senso che sarebbe stato più significativo un ‘Cristo’ venuto da lontano, “un Cristo della strada” lo chiama Olmi, oggi fuorviante, incomprensibile a molti, come le tante parole predicate e messe per iscritto (e da nessuno ‘inchiodate’) da uomini religiosi, di ogni credo e di ogni lingua e passanti come ‘parole di dio’.
Giancarlo Visitilli
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