Regia di Zack Snyder vedi scheda film
I sandaloni erano fatti di cartapesta e di interpreti molto atleti e poco attori. Nessuno chiedeva a questi film la verità della ricostruzione di fatti accaduti molto tempo prima quando bisognava basarsi sul ricordo orale dei testimoni dell’epoca. Erano film in cui, che per dirla alla Groucho Marx, gli attori maschi avevano tette più grosse delle sempre prosperose attrici donne. Film mitologici dove quello che viene raccontato è una storia nella quale è l’oratore a decidere proporzioni e dimensioni dei nemici e delle loro bestie sconosciute per colui che racconta. Quello che veniva fatto in maniera artigianale e scanzonata oggi diventa un ibrido che definisce i connotati umani e il paesaggio naturale finendo per mostrare tutta la sua innaturalità. La battaglia dei trecento spartani alle Termopili è come un pugno in un occhio, due ore ripulite laccate come un videoclip di due ore di un gruppo metal tamarro e fascistoide che deve accontentare il suo pubblico di ragazzi storditi da anni di esposizione alla playstation. Nella battaglia tra Leonida e Serse la forma rafforza la sostanza manichea e maschilista, dove il parallelo tra Grecia antica e Stati Uniti moderni è evitato dal pragmatismo spartano per i quali le guerre non erano ancora di religione o di dominio ma di difesa. Non si può parlare di propaganda bushista ma non si può nemmeno parlare di un film innocuo e ingenuo che nella su trasparente etica passi senza lasciare traccia. Quest’estetica ritoccata rende tutta la retorica dentro il film insopportabile come qualcosa che con il cinema non c’entra nulla. Il genere peplum è uno dei meno preferiti perché quello che è invecchiato peggio ma di fronte a obbrobri come questo mi viene da rimpiangere la reale prestanza fisica del Giuliano Gemma dell’epoca.
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