Regia di Zack Snyder vedi scheda film
L'ultima vergogna del cinema americano si chiama 300, sta incassando uno sproposito di soldi, è tratto da un romanzo grafico di un maestro come Frank Miller, racconta in modo fantasioso la battaglia della Termopili: trecento spartani guidati da Leonida contro un milione di persiani comandati da Serse. Regia di Zack Snyder, attori che recitano su fondali vuoti riempiti digitalmente, toni truci e testosterone che fluttua tra i muscoli gonfi. Frasi che fanno spavento, un trionfo del «me ne frego di morire» che finge di essere neutro e in realtà fomenta il peggio di chi guarda. Enfasi al posto dell'epica, sete di sangue che sostituisce la catarsi, una rappresentazione della violenza fine a se stessa, solo grafica, botte e fendenti in un digrignare di denti che diventa estetica. Già, l'estetica. Chi si impressionò favorevolmente per il precedente lavoro di Snyder, L'alba dei morti viventi, dovrebbe chiedere scusa inginocchiato sui ceci. Perché quella era la teoria, questa la pratica. Regia postprodotta tra brevi accelerazioni e un incredibile abuso di ralenti, a voler avvicinare quel che non si può più definire cinema alle junk vision della contemporaneità. Il videogame resta un'utopia, perché l'unica interazione che permette 300 è il mal di pancia dello spettatore. Ci si indigni, per film come questo, perché sono lo strumento di una pericolosa colonizzazione dell'immaginario.
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