Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Questo film si svolge a margine dell’incredibile piano cinese per la Diga delle Tre Gole, una faraonica costruzione che da sola darà il 3% dell’elettricità cinese. Per farla c’era un problemino: sarebbero finite sott’acqua un centinaio di città. La soluzione è molto cinese: le città le radiamo al suolo e il milione (due milioni?) di persone che ci abitavano, li mettiamo da qualche altra parte, che spazio ce n’è.
E quindi, gradualmente, l’acqua va fatta salire. Il film è ambientato nella fase 1: alcune zone sono già sommerse (il protagonista doveva andare a un indirizzo già sott’acqua di un bel po’ di metri), ed è pronta la fase 2. Sugli edifici viene dipinto il nuovo livello che raggiungerà l’acqua: nel frattempo, chi andrà sotto, è pregato di cavarsi dalle balle. Qua e là, gruppi di cinesi buttano giù muri a mazzuolate. La gente fa la vita di tutti i giorni, se sopra un certo livello; sfolla, se è ora di sfollare.
Il tutto in un tenore di vita bassissimo, dove guadagnare 20 € al giorno sono soldoni, ma dove tutto è in proporzione (una stanza da privati in affitto è data a 15 centesimi), anche le esigenze e la rassegnazione della popolazione. Un po’ alla Blade runner, in questi ambienti (per noi) un po’ miseri, tutti hanno il telefonino. Il film parla di due ricerche: lui cerca la moglie allontanatasi 16 anni prima; lei il marito che non si fa vedere da un paio d’anni. Li trovano, con esiti diversi. Il film è tutto qua. Servono almeno un 2-3 Vanzina, per aiutare a digerire. Lentissimo, quasi sperimentale, con una luce reale rara nei film, che dà un risultato piuttosto povero, quasi homemade, poteva essere un documentario anche di denuncia, invece che un’ora e tre quarti parlate poco o niente.
Ha vinto Venezia 2006, che deve essere stata un’edizione minore del Leone d’Oro, se tanto mi dà tanto. Voto tra 5 e 6.
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