Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Non subivo una stracciata di palle simile dall’estate del 1992, a Eurodisney in fila per due ore e mezza sotto il sole per entrare nella casa stregata. Ora credo di sapere perché questo film ha vinto a Venezia: l’hanno votato purchè finisse. E’ ora che si spezzi la diabolica e ricattatoria equazione della Lentezza = fattore predominante nella catalogazione dei film nella sezione autori importanti. Quello che non capisco è perché nei take away cinesi gli avventori si parlino sovrapponendo le voci compulsivamente in suoni gutturali mentre nei film cinesi d’autore debbano invece prendersi la libertà di spendere una mezz’oretta di immobile riflessione alla semplice domanda “come va?”. Se sei disoccupato, mentre la tua casa viene sommersa dal fiume, senza una lira e solo come un cane non c’è molto da pensare. Basta rispondere “di merda” e ti assicuro che l’occidentale capisce. Al volo. C’è una bella differenza dico io, tra la sospensione narrativa e l’ictus che colpisce l’operatore nel filmare per 10 minuti un tizio che fuma e questo dovrebbe capirlo anche Marco Muller, lo yogurt di Venezia che invece di fare l’amore con il sapore si masturba con la carta vetrata del 12 e che ha scovato – ho letto da qualche parte- questo gioiellino. Questo articoletto di fresca baldanza, questo inno alla vita. Questo omaggio al cinema. La sala era quasi piena, il cinema resistente Rosebud dal pubblico avvezzo alle rassegne e ai polpettoni macistei. Dopo mezz’ora eravamo la metà. Due dormivano, tre dietro di me sbuffavano pesantemente, un po’ tutti abbiamo sperato che la diga saltasse e sommergesse tutto che era martedì e il mattino dopo si lavorava. Alla fine eravamo tutti Still Life, nature morte. Questo, mi dispiace, non è cinema. E’ documentarismo necessario e importante che come tutte le cose necessarie è doloroso e cruento, è una biopsia epatica, un 740 particolarmente ostile, una riunione di condominio il sabato sera. E’ un film che sarà proiettato nelle scuole, protetto dalla lungimiranza snob dell’insegnante ottusa che vede nella realizzazione del messaggio la mortificazione dello stile e il soddisfacimento della regola principe di tutte le attività extrascolastiche imposte : la noia. Così da mortificare nel ragazzino, prossimo candidato neurotossico delle periferie dimesse e a lei pedagogicamente assegnato, anche la più piccola tentazione ad abbandonarsi volontariamente alla magia del cinema dopo che la sua virilità è stata così irrimediabilmente compromessa da quella visione del nulla formato wide screen. Piuttosto farà i compiti, almeno da questo punto di vista, cinema educativo. Ora, questo film non doveva vincere a Venezia ma l’acqua alta ha evidentemente creato un’empatia tra i due mondi che ha portato al Leone d’oro. Pazienza. Speriamo che a tutt’oggi le placide acque del bacino idrico cinese abbiano finalmente sommerso e dimenticato i luoghi del misfatto perché Marco Muller ha un’ampia scorta di carta vetrata del 12 e non vede l’ora di scoprire un’eventuale gioiellino in Still Life 2: a new level. E di questo francamente non se sentiamo il bisogno.
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