Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Lungo lo Yangzi la costruzione di una diga, necessaria per l’approvvigionamento di energia elettrica per la crescente società industriale cinese costringe gli abitanti del bacino del fiume ad abbandonare le case, i possedimenti, gli affetti per ricollocarsi in case alveare anonime e spersonalizzanti. In questo scenario due storie scorrono parallele, come le correnti del fiume sulle due sponde opposte corrono senza incrociarsi mai. La ricerca della famiglia perduta da parte di un minatore che viene dal capo opposto del paese per ritrovare la figlia che non vede da anni. Una donna che arriva dall’altro capo del paese per ritrovare il marito, via da casa da due anni per comunicargli l’intenzione di divorziare. Due storie opposte di disgregazione, di rottura come suggerisce il titolo, Natura Morta, che altro non è ciò che resta degli scheletri e dei ricordi dei paesi in riva al fiume, paesi vecchi di duemila anni che nel giro di pochi mesi verranno sommersi completamente dal nuovo bacino idrico, vanto e monumento del regime comunista. La diga non spezza solo il pacifico corso del fiume ma è simbolo di una cultura antichissima che si liquefa nel caldo e nella tecnologia invadente, monumento simbolo del progresso che preserva l’interesse collettivo, l’energia elettrica, ma non tutela le piccole storie private che formano la collettività, smembrandola in singole cellule di infelicità. La lente demolizione manuale di palazzi e fabbriche è un suono ritmato, cadenzato in sottofondo che alla fine risulta familiare come un battito cardiaco e per questo naturalmente accettato come necessità di cambiamento in cui la quotidianità ha lasciato il posto alla precarietà dei lavori in corso, sia materiali che umani e sentimentali. La famiglia come istituzione risulta essere la più colpita, non più in grado di sostenersi, svellata dalle proprie radici da un compromesso sociale che non viene capito ma solo passivamente accettato. Non a caso il film diviso in capitoli ognuno recante come titolo un oggetto simbolo di quotidianità, di tradizione, di conviviale sicurezza familiare. La caramella, il liquore, le sigarette e il Tè, rituali che perdono ogni valore di fronte al disfacimento sociale e assurgono a simbolo di mero ricordo, di melanconico feticcio di normalità. Lo sguardo fisso e malinconico del protagonista sembra perso nel limbo a metà strada tra i ricordi e il futuro incombente, sguardo frantumato nell’irriconoscibile paese che si trova ad abitare a parte i paesaggi impressi nelle banconote, uniche “mappe” in grado di orientare nella società rurale che si trasforma in economica. La rassegnata determinazione della ragazza in cerca del marito ha la consapevolezza di chi deve definitivamente troncare col passato per buttarsi nel futuro senza altra possibilità, come alla nascente società industriale e metropolitana necessita la distruzione fisica di paesi dalla millenaria memoria per fare posto ad un progresso imminente e necessario. Come tutte le cose necessarie, dolorose. Il dolore è vissuto con grande dignità da tutti i personaggi, mentre tutto intorno a loro si muove, si disgrega, si distrugge e si riforma in strutture nuove il dolore viene sudato via asceticamente con mistica devozione al dovere, al lavoro, alla demolizione di quel passato che quel dolore provoca, dolori che sono comuni e che si leggono negli occhi della gente, nei bambini soli, nei gruppi di adolescenti rissosi al servizio dei nuovi padroni-mafiosi, nella droga che comincia a circolare. Nei miti visti come irraggiungibili (il ragazzino col mito di dell’attore honkonghese Chow yun fat, ), nel bordello sospeso ad un piano divelto di un palazzo in demolizione. Sopravvivenza, dolore di gente che si lascia trasportare dal lento fiume imbrigliato da un monumento al progresso come imbrigliati dal progresso stesso vengono trasportati verso un futuro qualsiasi e ad esso sacrificati. Il regista sceglie uno strano registro verista per raccontare una storia che storia non è, è più il testamento di una testimonianza, visto che da qui a breve nella realtà i posti filmati non esisteranno più, sommersi dal nuovo bacino idrico. Verismo cinese lento e intimo, che si prende molto più del tempo necessario per filmare il tempo stesso, attimi persi e silenziosi, sguardi fissi e paesaggi di desolante squallore, di malaurbanità da nascente megalopoli del sottosviluppo. Il tutto impreziosito da gemme di visionario simbolismo sorprendente e spiazzante, vitale e profetico ammantato di quella luce che sempre il futuro dovrebbe avere. Un palazzo a forma di ideogramma cinese che parte come un razzo verso il cielo all’imbrunire, un ponte che si illumina sfarzosamente collegando le due sponde estreme del fiume in un ideale legame tra passato e futuro. In una stanza uomini in maschere e costumi tradizionali si sfidano a videogame portatili. Un uomo equilibrista sfida la morte in bilico su un cavo tirato tra due palazzi. Ma sono solo gemme, sprazzi, il pesante assunto del film, la testimonianza di un mondo in trasformazione, risente di una eccessiva compiaciuta e sentitamente autoriale lentezza che non agevola la visione soprattutto nella parte centrale del film quando il tutto sembra rallentare ulteriormente incartandosi in un fermo immagine in movimento di situazioni ripetitive che sembrano non avere uno sbocco, la narrazione oscilla dal verismo al dettaglio simbolico tirato a forza, alla ripresa cinetelevisiva da reportage sui paesi in via di sviluppo risultando alla fine pesantemente didascalico per poi riprendersi nella chiusura, a questo punto collettivamente (nella sala cinematografica tutta) agognata. Difetto che non affossa completamente il film che è assolutemente buono e che "cresce" dentro nei giorni a seguire(caratteristica degli ottimi film) ma che non ne agevola sicuramente la visione e la comprensibilità trasformandosi colpevolmente da film impegnato e “importante” a insostenibile catafalco di programmata e calligrafica attinenza al pur bellissimo titolo, Sill Life (Natura Morta, la nostra per l’esattezza, all’uscita dal cinema) annullando di fatto la piena efficacia di quel messaggio che avrebbe voluto trasmettere.
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