Regia di Gregory Nava vedi scheda film
Parlare di questo film e commentarlo e' per me imbarazzante, in quanto mi trovo di fronte ad una pellicola il cui giudizio e' riconducibile a piu' di un aspetto. E' evidente che si tratta di un film diretto con mano assai poco brillante, con difetti evidenti di sceneggiatura, e recitato (va detto: con convinzione) da una brava Jennifer Lopez ma, anche lei, spesso appare come "persa" in qualche difficolta', cioe' si ha come la sensazione che sia la sceneggiatura sia la regìa abbandonino la Lopez proprio in quei momenti in cui avrebbe bisogno di un appoggio. La storia e' nota: una giornalista un po' frustrata di Chicago viene inviata in una cittadina al confine col Messico per indagare su alcune morti misteriose di giovani donne operaie in una fabbrica locale. E da qui prende le mosse un thriller traballante, con qualche luogo comune, qualche effettaccio, a tratti un po' noioso. Tralasciando un Banderas non certo esaltante, va segnalato invece in positivo un vecchio leone di Hollywood ancora capace di ruggire: Martin Sheen. Ma la protagonista assoluta e' la Lopez (anche co-produttrice del film) che, grazie a questa intensa e partecipata interpretazione, si e' guadagnata una stima artistica che ha giovato alla qualita' di una carriera un po' appannata. Se ci mettiamo ad osservare il film con una lente di ingrandimento troviamo piu' di un anacronismo. Il modo in cui viene reso il linguaggio dei messicani per differenziarlo da quello americano e' ridicolo, con sottotitoli inutili e frasi del tipo "Apri la puerta!!". ...E poi quell'incredibile siparietto di un divetto pop che canta "La camisa nera"...
Eppure sarebbe un errore demolire in toto quest'opera. Che parte da un soggetto FORTE (d'accordo, sviluppato maldestramente) ma comunque FORTISSIMO. Provate a pensare che e' una storia VERA, che centinaia di donne sono state davvero umiliate e poi fatte sparire nel nulla, con la complice protezione delle autorità locali e di influenti politici americani. Non e' di un orrore insostenibile tutto questo? Ma il merito principale del film e' che non si limita a segnalare al mondo questa truce vicenda, ma insinua nella mente dello spettatore che quelle donne, al di là di essere potenziali vittime di menti criminali, nascono gia' predestinate all'umiliazione, per lo sfruttamento a cui sono sottoposte sul piano lavorativo. Loro non si lamentano dei turni prolungati di lavoro ne' della paga esigua, loro non accampano diritti: sono autentiche schiave nell'ambito di un modello di mercato del lavoro che ha come sfondo il meccanismo assoluto, indiscutibile, unico e trionfante della GLOBALIZZAZIONE, che antepone il profitto a qualsiasi altro aspetto dell'esistenza e della ragione umana. E questo messaggio del film passa forte e chiaro. E se pensiamo che si tratta di un film "made in USA" bisogna riconoscere
a chi ci ha creduto una bella dose di coraggio e di tenacia.
Cio' non toglie che il signor Gregory Nava deve imparare a fare il regista...
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