Regia di Gabriel Range vedi scheda film
«Anche nei manicomi riescono a metterci gli indiani» irrideva Gaber nel suo spettacolo Libertà obbligatoria, evocando Qualcuno volò sul nido del cuculo. Esaurita la spinta vietnamita e consapevoli che Afghanistan e Guerra del Golfo più che del grande schermo sono appannaggio della CNN, Hollywood si butta sul cosiddetto mockumentary, mischiando ancora di più il vero e il falso, la menzogna con la presunta verità, la storia col romanzo, la politica con l'investigazione. Per farla breve: dalle parti del Sunset Boulevard ma anche della Grande Mela perdersi d'animo non esiste e visto che l'11 settembre c'è stato, tanto vale approfittarne. Il post Twin Towers, dunque, è diventato un sottogenere. E vanta film direttamente chiamati in causa (United 93, World Trade Center, Fahrenheit 11/9), o trasversalmente coinvolti (La 25ª ora, Inside Man). Death of a President fa parte di questi ultimi. Perché l'odio, il rancore, la contestazione di cui è oggetto George W. Bush è, appunto, direttamente e indirettamente proporzionale a ciò che accadde quel giorno e a ciò che ne conseguì. È chiaro come il film di Gabriel Range sia una sonora provocazione: immagina, infatti, che il 19 ottobre 2007 il Presidente degli Stati Uniti finisca ferito mortalmente per mano di un terrorista mentre si appresta a uscire dallo Sheraton Hotel di Chicago dopo un discorso agli amici del Club Economico. Range sovrappone la memoria storica (l?assassinio è praticamente simile a quello perpetrato nel 1968 ai danni di Bob Kennedy) e la proietta nel 2008, nei giorni e nelle settimane dell'ipotetica inchiesta sull'inventato colpo di mano (o colpo di Stato?) di Chicago. Che naturalmente risulta più vero di un attentato vero, tanto è maniacalmente ricostruito. Gli scenari credibili mettono i brividi, compresi quelli che sbattono in galera l'islamico di turno, senza prove e avvolto dai pregiudizi. Da vedere per (non) credere, riflettere, protestare.
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