Regia di Gabriel Range vedi scheda film
Come molti della mia generazione, detesto George Walker Bush, presidente degli Stati Uniti per due mandati dal 2001 al 2008. Detesto la sua politica guerrafondaia e crudele, detesto l’inutile e dolorosissima guerra in Iraq, detesto lui e il suo status umano, detesto la sua mediocrità intellettuale, detesto la sua cinica idiozia, detesto ciò che egli rappresenta per il mondo, non solo repubblicano. In teoria, potrei anch’io essere responsabile dell’omicidio. Io come altri. Al di là del paradosso, bisogna comprendere le radici dell’odio. In Death of a President, Gabriel Range, ha l’obiettivo di colpire il politico Bush più che l’uomo Bush e il suo omicidio può essere quasi raffigurato come la presentazione di un conto finale. Di hammurabiana memoria, la legge del taglione qui vale: occhio per occhio, dente per dente, morte per morte. Vittima del fuoco spietato, Bush cade morto. Ed ecco allora l’analisi dei media.
Lavorando di fantapolitica nell’istituto del mockumentary, Range racconta quel che potrebbe accadere qualora un evento del genere si verificasse. E la televisione – la fiction che invade tutto – si prende la sua rivincita sul cinema, affermando la sua falsa verità come il mezzo cinematografico non potrà mai. Con la tecnica raffinatissima e subdola della manipolazione del reale, il regista maneggia documenti effettivamente esistenti: la prima parte, la verosimile invenzione, è interessantissima, vira alto verso una specie di realismo immaginario, propone qualcosa di veramente nuovo e spiazzante; poi scende di quota e cambia direzione, e cambia rotta, punta verso il giallo internazionale e i tempi del thriller non sono gli stessi dei toni precedenti. Si appiattisce, mantiene sì alta la sua valenza, ma si perde. Comunque Death of a President è un film notevolissimo, che spiega il buio e smarrito decennio del primo duemila con lucidità e vibrazione. Resta un dubbio: e se fosse semplicemente un esercizio di stile in cui dimostrare tutta soltanto abilità?
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