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Guida per riconoscere i tuoi santi

Regia di Dito Montiel vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su Guida per riconoscere i tuoi santi

di Enrique
5 stelle

Tra Spike Lee (in abbondanza), M.Scorsese (non da meno) e De Niro (Bronx), prova a farsi strada D.Montiel; con un risultato discutibile.

Vorrebbe commuovere la dichiarazione d’intenti; autenticamente personale, intima; il regista, sceneggiatore, protagonista del film, fulcro di tutta la storia, si mette a nudo. Così, nella sua ruvidezza estrema e genuina, la storia mostra tutti i propri limiti… ed anche qualche punto di forza; (fra questi ultimi) dal fascino intrinseco del racconto di formazione ai margini della società, alla vita stessa di frontiera (quella metropolitana); una giunga urbana sconquassata da lotte senza quartiere (e dove, dunque, anche i rapporti interni ai nuclei famigliari sono messi a dura prova, con strascichi duraturi) che si fa scintilla di reazioni violente o risolutive (la fuga - verso il consueto El Dorado della California - solo nel migliore dei casi).

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Stacco; sradicamento decennale e ritorno al passato, alla ricerca del tempo perduto (Paul Hackett). Un tuffo nostalgico nel mare agrodolce di ricordi (la consueta irrazionale nostalgia per il passato in quanto tale, anche se è un passato intriso di violenza; jonas), fatti di turbe ormonali e romanticismo d’alta scuola (“ti vorrei leccare la pa*****” detto ad una teenager che sa godere di cotanta galanteria), di ordinaria demenza adolescenziale (con punte di manie autolesionistiche e suicide difficili da poter anche solo concepire razionalmente) e delle solite incomprensioni fra generazioni (le quali percorrono qui strade tortuose, destinate ad incrociarsi senza veramente incontrarsi mai: sasso67) che inevitabilmente degenerano nel conflitto (e nel disturbo).

Una scena di Guida per riconoscere i tuoi santi

Montiel ricorre ad un linguaggio assai poco convenzionale (quello di cui si è detto e molto altro), ma altresì ad una tecnica espressiva che non è da meno (le confidenze al pubblico, i dialoghi scritti direttamente sullo schermo oltrechè parlati, i pensieri condivisi dapprima con gli spettatori e poi palesati all’interlocutore della scena) per fare breccia - con una storia autobiografica di ordinario degrado e disagio – nel cuore dello spettatore.

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Ma è lo sforzo di chi, per muoversi, sprofonda nella sabbia; la storia appare frastagliata dall’inesperienza; un bozzetto sincero e amorevole (Widmark) che non sprigiona sufficiente forza drammatica; che ricorda quanto già visto altrove (spesso con risultati più incisivi) ed il cui atipico linguaggio di elezione essa non rende meno vieta e più intrigante.

Solo a sprazzi originale.

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